Integrazione. Islam italiano, via lunga e necessaria
L’annuncio di un documento d’impegni sottoscritto al Viminale da una parte consistente delle comunità musulmane costituisce una buona notizia, e la conferma di un metodo giusto, adottato in Italia nel cercare di definire i rapporti con l’islam. Il metodo fu inaugurato dal ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu con la costituzione di una Consulta per l’islam nel 2005, e avviò una prima esperienza di conoscenza e di dialogo con le componenti di questo mondo. Proseguì poi con il ministro Giuliano Amato nel 2006-2008, e l’intenso lavoro del biennio produsse la "Carta dei Valori della cittadinanza e dell’immigrazione", e la "Dichiarazione di Intenti", sottoscritta solennemente dai principali esponenti musulmani italiani.
Anche con il ministro Roberto Maroni, un Comitato per l’islam ha prodotto documenti significativi sugli imam e sulla gestione delle moschee. Ora si fa un passo in avanti, perché mercoledì 1 febbraio 2017 i rappresentanti musulmani, assieme al ministro Marco Minniti, hanno sottoscritto impegni che riguardano soprattutto il tema della trasparenza, relativo alla lingua italiana da adottare nei sermoni in moschea, una formazione degli imam stessi che impedisca derive ideologiche radicali, nonché il controllo dei luoghi di aggregazione religiosa perché siano immuni da interferenze straniere, e svolgano il compito primario ed essenziale di assicurare la libertà di culto e di religione dei musulmani che vivono e lavorano nel nostro Paese. Si tratta d’impegni che confermano l’utilità dell’approccio liberale e pragmatico italiano che punta a due obiettivi essenziali: garantire la libertà religiosa ai musulmani, come ai fedeli di ogni altra religione, respingendo ogni mentalità e tendenza di tipo xenofobo; promuovere l’integrazione dell’islam nell’ordinamento italiano mediante il rispetto dei diritti e doveri costituzionali garantiti a chiunque sia presente sul nostro territorio. In questo senso, alcune reazioni negative nei confronti del passo in avanti compiuto al Ministero dell’Interno sembrano dettate più da pregiudizi, e malcelata ostilità, che non da un esame attento del problema storico che l’Italia deve comunque affrontare, anche per i suoi riflessi europei.
A questo primo passo possono seguirne altri, tenendo però presenti alcuni elementi che non sono emersi, o sono stati evocati in modo confuso. L’Accordo dell’altro giorno, infatti, non è un’Intesa tra Stato italiano e islam, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione: questa è un solenne atto sottoscritto dal presidente del Consiglio dopo un cammino che prevede più tappe, e dopo una trattativa che si svolge presso Palazzo Chigi con le rappresentanze nazionali delle confessioni religiose. Per raggiungere questo obiettivo, si compie un cammino che riguarda più interlocutori. L’Intesa ha come presupposto l’esistenza di una Confessione religiosa, strutturata su base di uno Statuto che delinei una organizzazione giuridica trasparente, che garantisca diritti e doveri dei fedeli, che sia coerente con i princìpi della nostra legislazione. L’articolo 8 della Costituzione subordina il riconoscimento di una confessione religiosa al fatto che il suo Statuto non sia contrario all’ordinamento giuridico italiano, e il Ministero dell’Interno, con specifica indagine, verifica questi elementi e propone al Governo il riconoscimento della Confessione stessa.Sennonché una confessione islamica che risponda ai requisiti costituzionali indicati non esiste ancora, perché l’islam è a tutt’oggi una galassia complessa, dove la rappresentatività delle singole organizzazioni è incerta.
Per antica tradizione, l’islam vive in modo atomistico, senza organizzazioni nazionali, capaci di interloquire con lo Stato e le pubbliche istituzioni, e in Italia opera tuttora con una molteplicità di strutture, centri, moschee (spesso piccole, o fatiscenti) che operano orizzontalmente sul territorio senza che si siano raggruppate in una, due, o tre, organizzazioni rappresentative a livello comunitario.Esistono alcune eccezioni, come quella del Centro culturale legato alla Grande Moschea di Roma, che però è un ente con ramificazioni internazionali; o della Co.Re.Is che ha fatto il massimo sforzo di costituirsi in confessione, ma la cui rappresentatività è ridotta. A chiunque, anche alle Confessioni di fatto, è garantita pienamente la libertà religiosa, ma il riconoscimento e l’Intesa sono traguardi che integrano pienamente la comunità religiosa nell’ordine costituzionale.
Organizzarsi in una Confessione non è un dato tecnico-formale, essa fa entrare la comunità di fedeli in una dimensione nuova: fa uscire dalla semi-clandestinità moschee e centri culturali, li inquadra in un orizzonte certo di diritti e doveri, rafforza la loro identità; immette la Confessione in un circuito di conoscenza e di controlli che garantiscono tutti. Anche per ciò, il recente accordo presso il Viminale fa compiere un passo in avanti verso questi traguardi, ma è sostanzialmente propedeutico per i due obiettivi conclusivi: la nascita di vere confessioni islamiche e il loro riconoscimento, l’avvio di trattative per l’Intesa. Un’ulteriore riflessione può essere importante. Nel 2008, con una Dichiarazione di intenti, i massimi esponenti delle Comunità islamiche italiane si proposero di creare una Federazione dell’islam (moderato): con essa, si sottoscriveva l’accettazione e la fedeltà ai princìpi di libertà religiosa, l’eguaglianza tra uomo e donna, il valore della vita, si rifiutava «ogni collegamento con organizzazioni integraliste», si segnava «un confine netto» verso «ogni fondamentalismo».
La Dichiarazione aveva, quindi, un respiro più ampio, indicava l’obiettivo, veramente storico e strategico, dell’integrazione nel mondo dei diritti e delle libertà, che poi è l’unico in grado di condurre in porto il traguardo del riconoscimento dell’islam e dell’Intesa con lo Stato. Un obiettivo del genere chiede il contributo di tutti, a cominciare dai massimi livelli istituzionali, e può parlare un linguaggio che supera i nostri confini, investe l’Europa nel suo insieme, sfiora la dimensione del dialogo interreligioso e del suo ruolo nell’era della globalizzazione.