Omofobia. Via dal non dibattito. Via l'identità di genere
In un bel libro che meriterebbe di essere tradotto, ' Génération Offensée', Caroline Fourest, regista, collaboratrice di 'Charlie Hebdo' e docente nella parigina Science Po, racconta il passaggio storicopolitico dall’universalismo al particolarismo identitario, dal ’68 del 'vietato vietare' al liberticidio che lei definisce «peste della sensibilità». Non puoi più dire nulla, azzardare un libero pensiero, avventurarti in una riflessione critica se non urtando la suscettibilità di qualcuno che ti accuserà di qualche 'fobia' e ti rovescerà addosso fiumi di odio. Ma se «un tempo la censura proveniva dalla destra conservatrice, oggi arriva da sinistra... una certa sinistra moralista e identitaria... che domina il più dei movimenti antirazzisti e Lgbtq» (non insignificante che Fourest sia lesbica). Il non-dibattito sul ddl Zan sull’omobitransfobia è avvenuto a lungo in questo clima tribalistico-identitario: prova a dire qualsiasi cosa su quel testo, prova a mettere il piede in quel « safe space » e ti arriverà addosso di tutto, dagli insulti alle minacce di morte (e non per dire). «Quel testo non si modifica»: così Monica Cirinnà ha chiuso perentoriamente ogni discussione. Il fatto è che la discussione non si è mai aperta. Quel ddl è passato alla Camera senza che quasi nessuno se ne accorgesse: non per essere benaltristi, ma in effetti a novembre avevamo ben altri problemi, con le terapie intensive che tornavano a riempirsi. In verità la discussione deve ancora cominciare.
Discussione che deve essere ampia, approfondita, e prendersi tutto il tempo necessario com’è stato per altri temi sensibili (divorzio, per esempio, o aborto). E anche se a prima vista non sembrerebbe, questo è un tema sensibilissimo che riguarda tutte e tutti: vedremo perché. Prima però l’aggiornamento del bollettino dell’odio: dopo le manganellate social che si sono abbattute su Paola Concia, Valeria Valente, Luana Zanella intervistate da questo giornale, e solo per avere garbatamente esposto alcune riserve critiche, eccoci alle minacce di morte. «Vi ammazzo tutte, schifose maledette». «Il giorno in cui cominceremo ad ammazzare i porci come lei sarà sempre troppo tardi».
«Non ci vuole nulla a svaligiare un’armeria, basta una smerigliatrice a batteria e un disco diamantato». «Se preferite farvi ammazzare, de gustibus. Di certo la comunità Lgbti non ci starà a farvi fare le porcate che state facendo all’infinito ». Firmato: TMWItalia, account trans su Twitter. Origine dell’inferno un irresponsabile tweet di Alessandro Zan che, senza peraltro nominarmi (con un certo sprezzo misogino non nomina mai le donne che lo contrastano), mi attribuiva una frase che non avevo mai pronunciato nel corso di una puntata di 'Omnibus' su La7, scatenando una violenta reazione.
Mettiamola così: ai sensi del ddl Zan, l’onorevole Zan sarebbe perseguibile per istigazione all’odio. Che da una tale montagna di odio possa nascere una legge contro l’odio, sia consentito dubitare. Torniamo al perché il ddl Zan riguarda tutte e tutti, e non solo le minoranze omo e transessuali, che giustamente si prefigge di tutelare: il concetto di identità di genere, vero architrave del ddl, va a toccare in radice e per tutti la sessuazione umana sostituendo il concetto di transessualità – condizione ben definita e regolata dalla legge 164/82 e successive sentenze – con un 'percepito' (sentirsi donna o uomo, o né l’una né l’altro) che si vorrebbe riconosciuto senza alcun percorso, né perizie, né sentenze. Un cambiamento epocale che impatterebbe sulla vita collettiva. Anche, e non positivamente, sulla vita delle stesse persone trans.
Lo spiega una rappresentanza di trans inglesi: «Noi accettiamo che ci sia necessità di una lunga valutazione e di controlli per poter accedere al diritto di essere legalmente riconosciuti come appartenenti al sesso verso il quale facciamo la transizione. Accettiamo anche di non poter accedere in automatico a case di accoglienza, quote elettorali riservate e sport, àmbiti nei quali la decisione viene assunta caso per caso ed esiste la possibilità di essere esclusi/ e». E ancora: vi è il rischio di procurare «un danno a molte persone – soprattutto a donne e bambine e ai 5.000 transessuali inglesi. E alle migliaia di altri che potrebbero essere incoraggiati a compiere la transizione qualora diventasse troppo facilmente accessibile». La Gran Bretagna ha definitivamente rinunciato all’«identità di genere», concetto che del resto non compare nella maggior parte delle leggi europee contro l’omotransfobia. Perché mai da noi dovrebbe essere tassativo?