Vent’anni dopo lo «scontro» di Genova. Via all'altra globalizzazione
Vent’anni fa al G8 di Genova la mancanza di dialogo tra il desiderio di cambiamento del sistema economico di una parte importante della società civile e la reazione di chiusura al dialogo da parte delle istituzioni raggiunse livelli di conflitto inaccettabili per una democrazia. E questo, tra azione e reazione, finì con l’oscurare la lucidità nell’analisi del problema e la possibilità di lavorare alle soluzioni. In questi due decenni molte cose sono cambiate. La globalizzazione ha in parte rallentato ed è stato coniato dagli studiosi il termine slowbalisation, che indica un rallentamento nella crescita del commercio che si realizza nelle catene del valore globale. Le emergenze planetarie dettate dall’aggravarsi della condizione climatica e dalla crisi innescata dalla pandemia di Covid hanno reso le istituzioni molto più sensibili e hanno indotto la finanza globale a intervenire per coprirsi dai rischi dell’insostenibilità sociale e ambientale.
Tocca alla società civile ora fare un passo in avanti nella comprensione del problema, delle sue soluzioni e nella discesa in campo con un cambiamento di stili di vita. La globalizzazione, intesa come aumento degli scambi commerciali tra Paesi e come crollo dei tempi e dei costi di spostamento delle 'merci senza peso' causata dalla rivoluzione della Rete, non è certo un male. Al contrario, è qualcosa che ha il potenziale di avvicinare le persone che vivono in zone diverse del mondo creando una comunità globale. Il vero male da combattere non è certo la globalizzazione in sé, ma quella barbarie culturale di cui siamo tutti vittime che identifica il progresso sociale ed economico con il sottocosto e con il prezzo minimo come se il bene della persona coincidesse con il benessere del consumatore (ovvero la differenza tra il prezzo massimo che è disposto a pagare e quello di mercato).
Questa miopia riduzionista, accompagnata dalla scarsità di informazioni per valutare altre caratteristiche di merci e servizi, ci impedisce di capire che dietro una riduzione di prezzo può nascondersi un’insidia per la nostra salute, lo sfruttamento del lavoro, danni all’ambiente che aggravano il rischio di catastrofi climatiche, irresponsabilità fiscale che riduce le risorse disponibili per finanziare beni e servizi pubblici come sanità e istruzione.
Senza la nostra cittadinanza attiva e senza regole del gioco la globalizzazione ha adottato questa scorciatoia ed è diventata corsa al ribasso dove le aziende vanno a localizzarsi nel Paese dove i costi del lavoro, ambientali e fiscali sono più bassi possibili per minimizzare i costi e massimizzare i profitti a parità di tutti gli altri fattori. La corsa al ribasso crea una concorrenza perversa tra istituzioni nazionali e locali che, per attrarre imprese e lavoro, abbassano sempre di più l’asticella privandosi di risorse fondamentali per finanziare beni pubblici essenziali come sanità e istruzione.
Proprio negli ultimi mesi sono apparse finalmente due risposte che possono invertire la rotta. Primo, con la discussione della tassa globale sulle multinazionali si ragiona sul fatto che le imprese vadano tassate per il volume di vendite realizzate nei diversi Paesi a prescindere dal fatto che possano mettere la propria sede legale in paradisi fiscali.
Secondo, la Ue all’interno del pacchetto ' Fit for 55' ha inserito la border tax stabilendo che le aziende localizzate fuori dal proprio perimetro che vogliono esportare sui suoi mercati prodotti con standard ambientali al di sotto dei nostri debbano pagare la differenza sotto forma di tasse all’ingresso. Se la gara del commercio internazionale è come un campionato di calcio senza arbitri né regole che puniscono i falli di gioco, vince sempre la squadra più fallosa.
Il commercio internazionale con il principio della border tax diventa, invece, una competizione più equa dove vince la squadra migliore tra quelle corrette, ovvero tra quelle che rispettano gli standard ambientali (e speriamo presto sociali) che rendono il sistema economico globale sostenibile. Le istituzioni finalmente si stanno muovendo (è in corso a Napoli il G20 su clima ed energia), ma questo non basta. Anche noi cittadini dobbiamo battere un colpo. Il mercato è fatto di domanda e di offerta e noi siamo la domanda. Sono oggi disponibili moltissimi strumenti validi in rete per scegliere prodotti ad alta sostenibilità sociale e ambientale.
Un limite di sempre dei movimenti di pressione per il cambiamento (dai no-global ai Fridays for Future di oggi) è non aver saputo trasformare la massa critica che scende in piazza e manifesta in massa critica che vota e dichiara il suo voto anche 'col portafoglio'. Quando ciò avverrà il cambiamento che tutti auspichiamo sarà molto, ma molto più rapido.