Veronesi, scienza che salva e libertà che lascia soli
«Quando sei giovane non pensi alla vecchiaia, e man mano che invecchi il confine fra "giovane" e "anziano" si sposta sempre più in là. Semmai si pensa alla morte, questo sì. Io ci ho pensato molto perché sono un sopravvissuto. A diciott'anni in guerra sono saltato su una mina e sono rimasto vivo per caso. O per miracolo, qualcuno direbbe. Da allora ogni giorno di vita per me è una conquista. Ho deciso che avrei colto la bellezza dell'esistenza a piene mani, finché vita ci fosse stata. E così è avvenuto. Non mi sono fatto mancare nulla». È un inno alla gioia di vivere quello che nel settembre del 2015, alla vigilia dei novant'anni, consegnò in una lunga intervista-confessione a Repubblica l'oncologo Umberto Veronesi, morto ieri sera a nella sua abitazione a Milano, la città dov'era nato il 28 novembre 1925. Medico popolare e rispettato, che ha sempre fatto della ferrea razionalità scientifica l'inderogabile metro per giudicare ogni aspetto della realtà, Veronesi ha lasciato sempre convivere nel suo pensiero la passione indiscussa per la ricerca sul grande male del nostro tempo per giungere un giorno a debellarlo (tanto da dire che il suo più grande cruccio era di «non aver fatto abbastanza per salvare l'umanità dal cancro») con vistose smentite di questo limpido punto fermo.
Per l'eutanasia
La sua voce autorevole e ascoltata proprio per i grandi meriti scientifici si è levata innumerevoli volte per chiedere con forza una legge che introducesse l'eutanasia anche nel nostro Paese: «Se una malattia mi privasse della mia dignità di persona, la chiederei. Ho fatto anche il testamento biologico che contiene le volontà sulla fine della mia vita, in caso mi accadesse di essere incapace di esprimerle di persona». La certezza che l'autodeterminazione e la libertà assoluta di poter scegliere per sé ciò che si desidera, a cominciare dal momento della propria morte, l'ha portato paradossalmente a contraddire per via teorica ciò che nei fatti, invece, ha impegnato per decenni la sua attività clinica. Fondatore nel 1991 di un'istituzione scientificamente prestigiosa come l'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, e ancor prima dell'Associazione italiana ricerca sul cancro (Airc, nel 1965) oltre che della Scuola europea di oncologia (1982), ha trasformato il suo nome in un marchio, tanto da rendere la Fondazione «per il progresso delle scienze» che porta il suo nome (creata nel 2003) uno dei collettori preferiti per donativi e contributi tramite il meccanismo fiscale del 5 per mille.
Il diritto al figlio
Ma le battaglie laiche di Veronesi, che fu anche ministro della Sanità dal 2000 al 2001 nel secondo governo Amato (con la celebre guerra ingaggiata contro il fumo nei luoghi pubblici), non si fermano all'eutanasia: nel 2005 si batté al fianco dei radicali per i quattro quesiti abrogativi contro la legge 40 sulla procreazione artificiale, avversata poi senza tregua nel nome di un principio argomentato in molteplici forme: «Chi negherebbe, se non per ideologia, il desiderio biologico – e il diritto – di avere un figlio sano, dal momento che la scienza offre gli strumenti appropriati?». Il "diritto al figlio" lo portò a ipotizzare anche la scissione futura tra sesso come attività fine a se stessa e riproduzione, che andrebbe affrancata dalla cieca casualità degli effetti per affidarla alle certezze eugenetiche garantite dal ricorso alla provetta. Favorevole alla fecondazione assistita anche per single e coppie omosessuali, nel nome di quello stesso, malinteso "diritto" Veronesi ha anche sostenuto la maternità surrogata aperta a chiunque abbia il desiderio di avere figli, coerente con la sua radicata convinzione etica: «Siamo parte di un disegno biologico codificato nel nostro Dna che ci impone di conservarci, riprodurci e poi morire».
Etica e religione
Un orizzonte nel quale Dio non può trovare spazio: «L'esistenza in generale non ha alcun senso – disse ancora un anno fa –. La terra è un granello in un universo indifferente, è destinata a scomparire per la seconda legge della termodinamica. Eppure ho cercato anch'io di dare un senso alla mia vita e l'ho trovato nel trasmettere un pensiero che spero possa contribuire al miglioramento concreto delle generazioni future che per circa due milioni di anni ancora vivranno su questo pianeta». Un'ambizione che dà la misura della personalità e del carisma di un uomo pianto ieri sera da numerose voci istituzionali e politiche. Ecco: l'orma buona che questo instancabile scienziato e maître à penser lascia è proprio la consapevolezza che il cancro può essere vinto, e che la speranza non può mai abbandonare chi deve convivere con la malattia. Alle donne in particolare ha donato un metodo diagnostico e chirurgico contro il tumore al seno che ne rispetta sensibilità, paure, attese e dignità. Come ha scritto l'attuale ministro della Salute Beatrice Lorenzin, «ha insegnato alle donne come vincere e difendersi dal cancro». E questo, senza nulla scontare del dissenso sulle idee e su quanto hanno contribuito all'ingannevole cultura dei "nuovi diritti", resta indubbiamente un merito grande.