Verità preziose dentro le parole: contro i «simboli» si sta coi «diavoli»
Caro direttore,
a seguito della recentissima sentenza europea sul velo femminile sul luogo di lavoro credo sarebbe utile una precisazione: quando si parla di simboli si deve distinguere tra simboli e segni. Un copricapo è un simbolo o un segno? A volte si tende ad identificare e a rendere sinonimi i due termini, in realtà il simbolo appartiene a un ordine superiore. Mentre l’homo symbolicus non può essere tolto, è un ordine, i segni appartengono alla categoria del relativo. In prima battuta i segni rimandano al simbolo, non viceversa...
Sergio Benetti Dueville VicenzaPer la verità, tutti i grandi vocabolari italiani lo testimoniano, anche nella nostra lingua “segno” e “simbolo” i due termini sono usati come sinonimi. Eppure apprezzo la sua sottigliezza, gentile e caro professor Benetti. E le sono grato, anche perché mi permette di fare un discorso breve e denso che da un po’ di tempo mi torna in mente e mi preme nel cuore. Comincio col ricordare a mia volta, in estrema sintesi, che il segno – dal latino, signum, «ciò che si vede» – rimanda (proprio come nel guardare e vedere) a una relazione definita con la realtà che esso esprime, mentre il simbolo – dal greco, sun-ballo, mettere assieme, contrario di dia-ballo, mettere barriere – ci conduce (oggi qualcuno direbbe “ci connette”) a una realtà più grande. Molti e importanti studiosi si sono impegnati su questa distinzione che il parlar comune non conosce e che pure ci riguarda tutti, ci interroga e ci suggerisce risposte utili e buone. Mi fermo sull’ultimo punto. I simboli sono alternativi ai diavoli. Il rispetto dei simboli religiosi (propri e altrui, altrimenti non è rispetto vero) è attitudine esattamente contraria a quella di coloro che, lo ammettano o meno, s’ingegnano a escludere, ad alzare muri. Sun-ballo contro diaballo, simboli contro diavoli: anzi sempre e sistematicamente il contrario. Nessuno sorrida. Nessuno storca il naso. Pensiamoci tutti. Non sempre le parole confondono e tradiscono. Le parole, attraverso le loro radici, possono accompagnarci a intuire e ritrovare altre radici, quelle della nostra cultura classica e cristiana, splendido fondamento, anche quando fatichiamo a riconoscerlo come merita, della civiltà di cui siamo chiamati a essere custodi e continuatori. In questo caso, riescono a farci capire che negare spazio e accoglienza alle vite e ai simboli nostri e degli altri (e per questa via falsamente “laica” arrivando a mortificare fedi e ideali, a comprimere identità, a irrigidire relazioni, a escludere apporti, a diminuire umanità, a ridurre cittadinanza, a eccitare antagonismi) non è un bene, ma è scegliere il male. In questo tempo abbiamo più urgente necessità che mai di capire chi è davvero il “nemico”: il dia-ballo, il “divisore”, suggeritore di rimozioni, contrapposizioni, esclusioni.