Fare i conti con le memorie scomode. Verità necessaria
E se c’è qualcosa che la memoria della Shoah ci insegna è a non seppellire le memorie sotto pretesti ideologici di nessun tipo. Anche se si tratta di memorie scomode. Scomode perché ad assassinare il ragazzo, che era tornato nel suo paese dal seminario a causa della guerra e continuava a studiare e a vestire l’abito del seminarista in quei giorni confusi e tragici che precedono la liberazione furono dei partigiani di una brigata comunista, poi condannati a una pena detentiva in parte amnistiata. Scomode, perché il ragazzo di nulla era colpevole se non di essere un seminarista, e la sua uccisione avvenne in nome di un odio della religione diffuso in quelle zone, un anticlericalismo (di cui partecipò appieno anche Benito Mussolini, ricordiamolo) che aveva, nei decenni passati, prodotto solo slogan e parole, ma che nel furore di una guerra terribile si mutò in un’arma di morte.
Tanto più terribile è questa vicenda in quanto quel ragazzo era, sembra, legato non ai fascisti di Salò che avevano seminato morte e distruzione, ma ai partigiani cattolici che, insieme a quelli comunisti e a quelli di 'Giustizia e Libertà', anche se non senza tensioni, stavano combattendo contro nazisti e fascisti. La motivazione di questa censura è stata che la mostra avrebbe «gettato fango sulla Resistenza ». Io credo che invece proprio chi si richiama alla lotta della Resistenza, chi distingue nettamente, come me, nella tragedia di quegli anni, fra i partigiani e i repubblichini amici e servi dei nazisti, impegnati a deportare gli ebrei e a compiere stragi sui civili, ha tutto l’interesse a non rimuovere e censurare il passato, ma a chiarirlo e raccontarlo, farne memoria.
Alla luce della storia, certo, con le prove documentarie e obbedendo al rigore dello storico. Tanti eventi sono stati obliati, censurati, nascosti in nome della rinascita dell’Italia, degli equilibri fra nazioni, della guerra fredda, delle ideologie, del comunismo. I processi memoriali hanno trovato in queste esigenze 'superiori' tanti ostacoli: dalle stragi naziste sepolte negli armadi della Repubblica per non urtare la suscettibilità della Germania rinata nell’Europa della guerra fredda, alle violenze del triangolo della morte, alle foibe istriane.
Questi eventi devono tutti essere ricordati, e ancor più ricostruiti e narrati, e non perché i repubblichini e i partigiani fossero la stessa cosa, ma proprio perché non lo erano. Perché se avessero vinto i fascisti, tanto per fare un esempio, io come ebrea non sarei qui a scrivere queste righe. L’unico modo di difendere la memoria è quello di ricordare anche i fatti che preferiremmo negare, che non vorremmo che fossero mai avvenuti: la zona grigia o, peggio, una zona tutta nera di violenza e di assassini compiuti in nome della libertà. L’assassinio di Rivi è uno di questi. L’uccisione del beato Rivi, non la mostra a lui dedicata, è un episodio suscettibile di infangare la memoria della Resistenza.
Ricordarlo è anche un modo per restituire la memoria, separando il grano dal loglio, gli assassini dai partigiani che lottavano per liberarci dai nazisti e dalla dittatura fascista. Non dobbiamo stancarci di cercare la verità, di ricostruire i fatti del passato e di serbarne memoria. Senza censure, senza remore ideologiche di nessun tipo. Perché solo la verità consente la memoria.