Fine vita, giuste e possibili alleanze. Veri diritti, non slogan
Francesco D'Agostinomartedì 13 settembre 2011
Riprende oggi in Commissione al Senato il dibattito
sulla legge sul fine vita e, per molti laicisti, ritorna l’ora di
affilare le armi. Bisogna convincere l’opinione pubblica che la legge
che sta per entrare a far parte del nostro ordinamento si radica sul
principio della indisponibilità della vita e che questo è un principio
clericale, repressivo, pre-moderno, ma soprattutto non coerente con
l’unico sistema valoriale adeguato al nostro tempo, quello dei diritti
umani. «Rendiamo grazie ai Lumi!» che hanno elaborato questo paradigma,
esclama Massimo Firpo (sul Sole-24 Ore di domenica 4 settembre). Un
paradigma, di cui da una parte la Chiesa cercherebbe disonestamente di
appropriarsi e che dall’altra, per bocca di Papa Benedetto, essa
continuerebbe ad attaccare, elaborandone deformanti immagini
ideologiche.È così che stanno le cose? No. Il principio della
disponibilità della vita non appartiene alla migliore tradizione
illuministica. Non è mai stato condiviso da Kant. Quindi, o Kant va
considerato uno pseudo-illuminista o un illuminista mancato (!), oppure
assumere il principio che la vita umana sia disponibile, come quello che
meglio rappresenta la visione illuministica dei diritti umani, è un
colossale errore (indotto, si spera, dall’ignoranza e non da
un’intenzione consapevolmente falsificante). Ciò che comunque è senza
dubbio falsificante è definire deformanti le letture dell’illuminismo
(come appunto quella fatta dal Papa) che coglie in alcune sue dimensioni
(ma non certo in tutte) aspetti nichilistici se non «perversi» (e, del
resto, come negarli? Forse non è stato un illuminista anche il marchese
de Sade?).Se vogliamo «rendere grazie ai Lumi» e salvarne gli
indubbi meriti storici, lasciamo cadere i mille trucchi e le mille
provocazioni che un certo instancabile laicismo torna con monotonia a
proporre ogni qual volta vengono al pettine alcuni specifici nodi
bioetici e antropologici. È sbagliato contrapporre radicalmente
illuminismo e cristianità, sostenendo che il primo elaborerebbe una
cultura e una politica fondate sui diritti dell’uomo, mentre la seconda
opererebbe per imporre una cultura e una politica fondate sui diritti di
Dio. Quelli che il laicista qualifica come «diritti di Dio» (quindi, in
buona sostanza, come diritti "inesistenti", dato che illuministicamente
sarebbe interdetto ragionare «come se Dio ci fosse» ) sono i diritti
umani più veri e più autentici, perché, nella visione cristiana della
vita, Dio altro non vuole se non la piena realizzazione dell’uomo, del
suo bene e quindi dei suoi autentici diritti.Abbandoniamo una
volta per tutte le frasi fatte dell’individualismo radicale e discutiamo
nel merito se la miglior difesa della vita umana sia quella che
l’affida a insindacabili testamenti biologici, magari redatti da persone
ipocondriache e poco informate, o non piuttosto ad una saggia alleanza
terapeutica medico-paziente, che non esclude mai il rilievo di una
dichiarazione anticipata (di trattamento) del paziente, ma nemmeno ne
assolutizza indebitamente le disposizioni.L’antitesi
Chiesa-illuminismo è antiquata, come è evidente dal convergere di un
cattolico come Jacques Maritain e di un illuminista come Norberto Bobbio
nella convinzione che, anche se si parte da diversi presupposti, si può
poi concordare nell’individuazione e nella difesa dei diritti umani,
purché con onestà intellettuale si rifletta assieme non sugli slogan, ma
sulle cose stesse.