A lezione dal Santo Scolaro. Vera scuola per tutti
Sulla vetrata di una nicchia della chiesa di Barbiana, don Lorenzo volle un mosaico con un’immagine che poi decise di chiamare "Il Santo Scolaro". C’era solo un libro aperto davanti a un volto invisibile, perché celava i volti di tutti, bisognosi di imparare. E quando da ragazzi si arrivava lì, con l’eskimo o la camicia bianca dei liceali degli anni Settanta e Ottanta, si sentiva il fascino e il timore di un luogo di silenzio, dove si sarebbe potuto imparare, tuttavia, a «far baccano» nel mondo!
A Barbiana, martedì 20 giugno 2017, il volto ideale di quello scolaro si è incarnato nella fisionomia dolce di papa Francesco. Egli l’ha detto alla fine, con un saluto fatto a braccio: «Pregate per me, perché anch’io possa imparare da questo bravo prete». Come Vescovo di Roma – egli ha tenuto a precisare – di essere salito sin lì non solo per dare risposta a una domanda antica, che don Lorenzo aveva fatto al suo Vescovo, ma per sciogliere un debito con la profezia, urgente e dissetante per una Chiesa che voglia essere «assetata di assoluto».
Parlare ancora di «risarcimento » e anche di «legittimazione »; sentire la gioia di una ferita profonda che viene ancora sanata è giusto, ma non è l’essenziale di questa visita, davvero storica. Francesco ha citato quella lettera al Vescovo che don Lorenzo aveva scritto: «Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato». Piovanelli aveva già dato, per primo, una risposta, ma «oggi lo fa il Vescovo di Roma: ciò non cancella le amarezze, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita il Vangelo, i poveri, la Chiesa stessa».
Dunque, è la Chiesa tutta che, con il Papa, esprime il suo bisogno di imparare da chi, un tempo, aveva giudicato ed emarginato e ricacciato nelle remote periferie del Mugello. Oggi 'periferia' appare la Chiesa e Barbiana il centro, il cuore di una Chiesa di Vangelo, i cui confini sono quelli della dignità umana, della radicalità «del bene, del vero, del bello», sempre secondo le parole di Francesco. Da lì il Papa riparte per parlare innanzitutto alla Chiesa; non per caso ha detto di aver convocato i preti – giovani e vecchi – chiedendogli di seguire «l’esempio» di quel priore. Un prete che, alla fine, aveva chiesto perdono per aver amato di più quei ragazzini, figli di boscaioli, del Signore stesso!
La novità della visita di Francesco è questa: don Milani è presentato come un modello per i preti e per tutto il popolo di Dio. Un sacerdote duro come un diamante, contro la deriva di alcuni preti del suo tempo che «erano circondati di carte e d’incenso »; che denunciava la puerile omertà in una Chiesa in cui tutti avevano paura di parlare con schiettezza, vale a dire con la parresìa apostolica… Un prete non clericale, dunque, che dà lezione ai chierici di tutto il mondo.
Una lezione che, oggi, la Chiesa dà agli educatori: un modello di scuola che renda dignità a ogni ragazzo, a cominciare dal più svantaggiato, da quello scartato. Che si impegni per strutturare un pensiero con la potenza delle parole: solo calato nella lingua – strumento di relazione – il pensiero diventa, infatti, libera coscienza. Non deve accadere che la scuola si riduca a un mero laboratorio per acquisire competenze.
Una lezione di politica 'alta' quella che oggi la Chiesa istituzionale dà, dai suoi sommi vertici: quella di uscire alle periferie, di abbassarsi ad ascoltare le voci di una 'Galilea delle genti' da cui verrà la Parola. Lezione importante per tutti quelli che si occupano di politica, laici compresi.
Una lezione di giustizia per chi fa della giustizia un potere di condanna, di diffamazione, di legittimazione della menzogna, come Lorenzo stesso patì, fino alla morte.
Una lezione di come si faccia 'cultura', vale a dire di come ci si possa integrare e sviluppare insieme per la conoscenza e la carità; perché gli intellettuali siano nodi di consapevolezza e di dialogo, anelli tra mondi diversi e staccati, affinché la pace si diffonda come crollo dei muri e colla di riconciliazione. Stupenda è questa giornata in cui uno speciale Santo Scolaro, manda a scuola la Chiesa da uno 'scolaro santo', laico, europeo nel suo orizzonte culturale. Lorenzo era ancora un ragazzo quando, leggendo una pagina di un testo liturgico, scrisse che lo trovava più profondo e interessante di 'Sei personaggi in cerca d’autore'. Un pensiero intelligente, perché capace di stabilire confronti e rendersi conto che dentro un mondo chiuso, tutti son condannati a essere ottusi, conservatori o incendiari! La visione limpida di una necessità che pian piano portò Lorenzo verso quelle periferie, che gli aprirono il mondo e gli regalarono la sua stupenda vocazione di maestro e di prete. Non solo fatto crescere, dunque, ma «consacrato» dalle colline schive di Barbiana. Santo così, senza bisogno di miracoli, come ha detto il cardinal Bassetti.
Francesco ha preso la fiaccola di don Milani e l’ha consegnata alla Chiesa: «Prendete la fiaccola e portatela avanti», ha invitato, rivolgendosi specialmente ai giovani. Oggi la Chiesa si fa discepola ubbidiente di quella «disubbidienza» che fu una virtù: la passione incondizionata per il Vangelo, per gli ultimi e per la Chiesa. Amore radicale, senza compromessi di sorta, da cui, come Gesù, anche Lorenzo «imparò l’ubbidienza da ciò che sofferse» (Lettera agli Ebrei 5,8).
Ai cristiani la fiamma che brucia ogni sterile velleità devozionale per accendere la sete di umanità e di assoluto che bruciò l’anima e il corpo di don Lorenzo. Essa deve prendere la decisione di stimarla davvero, di volerla, di conoscerla, abbracciarla, portarla avanti, farla risplendere.