Sono saliti a cinquanta i militari italiani morti in Afghanistan dal 2004, anno di inizio della missione Isaf, a testimonianza di quanto sia stato e resti rilevante il nostro impegno per la stabilizzazione di un Paese che, dagli anni Settanta del secolo scorso, è stato ininterrottamente devastato da sanguinose guerre civili e interventi militari stranieri. La responsabilità complessiva del settore occidentale del Paese, compreso il distretto del Gulistan, dove la provincia di Farah confina con l’Helmand, è affidata al nostro contingente, dal cui comando dipendono le forze di una dozzina di altri Paesi.
Il “Comando Regionale Ovest” è stato a lungo considerato uno dei meno esposti alla penetrazione dei taleban e alla diffusione dell’insorgenza rispetto ai più turbolenti settori Sud ed Est, confinanti con il Pakistan, il cui doppio gioco nei confronti di Isaf è ben più che un sospetto. Negli anni passati, proprio nell’Helmand si sono combattute le battaglie più aspre, ingaggiate principalmente dalle forze anglo–americane, coadiuvate da canadesi e olandesi.
Uno sforzo che ha reso meno sicuro il movimento delle forze ostili nella regione, al punto da spingerle a migrare verso il Farah e il Gulistan, aree sotto la responsabilità italiana. Non per caso, nel corso degli ultimi dodici–diciotto mesi, la presenza e l’attività delle formazioni insorgenti nel settore occidentale è aumentata proprio a partire dal distretto chiave in cui è posizionata la “Ice”, la base oggetto dell’attacco mortale di ieri.
Ma non è stato soltanto l’incremento di sforzo “cinetico” nel Sud – per utilizzare il gergo Nato, cioè l’aumento di operazioni “scova e distruggi” – ad aver reso più caldo il clima nell’Ovest. Almeno altri due fattori devono infatti essere considerati. Il primo è il riprendere in grande stile delle manovre iraniane nella regione. L’Iran ha svolto una politica molto ambigua verso la presenza di Isaf in Afghanistan. Dopo un lungo momento iniziale in cui la Repubblica islamica ha sostanzialmente appoggiato l’azione volta a rovesciare l’odiato regime talebano (finanziato dai pachistani e dagli arcinemici sauditi), Teheran ha cominciato a guardare le cose con occhio assai meno benevolo.
L’influenza dell’Iran nell’Ovest dell’Afghanistan è legata alla concentrazione nella regione della minoranza sciita, ma la decisione di utilizzarla contro la presenza straniera dipende essenzialmente dallo stato delle relazioni tra Teheran e l’Occidente, che in questo momento sono pessime e in costante peggioramento, tanto più dopo l’approvazione di ulteriori sanzioni da parte della Ue appena pochi giorni fa. Certo è che un Iran sempre più apertamente ostile alla presenza alleata costringerebbe a riconsiderare i numeri e le modalità d’azione dei contingenti schierati nel settore Ovest, compreso il nostro ovviamente.
Proviamo poi a immaginare solo per un momento che cosa dovremmo aspettarci in termini di atti contro le forze Isaf se Israele dovesse deprecabilmente decidere di lanciare un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane. In un simile scenario, la situazione potrebbe divenire semplicemente insostenibile con questi numeri e con un calendario di ritiro già scritto.
Ed è questo l’ultimo fattore che concorre a spiegare il peggioramento della situazione complessiva e che di sicuro influenza anche le scelte di Teheran. Ci riferiamo al cosiddetto “trasferimento di potere” alle autorità afghane entro il 2014 e al ritiro delle truppe occidentali dal Paese. La transizione non sta procedendo affatto bene, e sulla lealtà delle forze di sicurezza del “nuovo Afghanistan” al governo centrale c’è parecchio da dubitare.
Uno degli scenari più ottimistici, a fine 2014, è la sostanziale cantonalizzazione del Paese con il ritorno dei signori della guerra che già stanno trattando sottobanco le future strategie di alleanza. In questo quadro, Teheran ha un interesse evidente a stringere rapporti con i leader della confinante regione e a giocare la propria influenza a favore di qualche “warlord”, in vista di una penetrazione politica e commerciale in un Afghanistan in cui Karzai, ad andar bene, sarà il sindaco di Kabul o poco più.