Analisi. Ancora «rossi» contro «neri». Se la politica gioca col fuoco della storia
Andiamo subito al punto: una politica responsabile non può permettersi di ricorrere a espressioni che contribuiscono a fomentare gli animi, specialmente in un contesto sociale, economico e internazionale come quello attuale, infiammato da enormi disuguaglianze, gravi crisi, guerre, sconvolgimento climatico. Ma è proprio ciò che sta accadendo. Negli ultimi giorni, abbiamo ascoltato Maurizio Landini, il segretario generale del maggiore sindacato, incitare alla «rivolta sociale», un ministro della Repubblica, Matteo Salvini, definire «comunisti» i magistrati che hanno preso legittime decisioni non gradite al governo e parlare di «zecche rosse» a proposito di partecipanti a una manifestazione, il sindaco di Bologna Matteo Lepore accusare il governo di avere «mandato 300 camicie nere in città».
E il triste sunto non termina qui, perché le leader dei due schieramenti, la premier e presidente di FdI Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein, hanno battibeccato a distanza, ironizzando la prima sui diritti sindacali e sulla «sinistra al caviale», evocando la seconda l’olio di ricino con cui le squadracce di Mussolini punivano gli antifascisti. Per tutta risposta, Maurizio Gasparri - esponente del partito che si propone di rappresentare l’area più moderata del centrodestra, Forza Italia - ha detto che le posizioni della leader dem ci stanno riportando «indietro nel tempo, alle soglie del brigatismo».
Viene da dire: alt, stop, segnale di pericolo. Anzi, di pericoli, che una volta innescati potrebbero divenire incontrollabili. Il primo è quello di giocare con il fuoco, ovvero con gli aspetti più dolorosi della storia di questo Paese.
Non si può dimenticare che il fascismo è stato inventato qui ed è stato una tragedia immane, che appena prima c’era stato il “biennio rosso” con le sue giuste rivendicazioni ma anche con le sue violenze, che termini come “zecche” ci riportano davvero al lessico del ’77, alle chiavi inglesi e alle P38, e agli anni di piombo che hanno lasciato una lunga, incancellabile scia di sangue. Non scherziamo, per favore. Non c’è proprio niente su cui scherzare. Certe espressioni, la politica istituzionale dovrebbe lasciarle alle frange minoritarie ed estremiste, che non sono mai mancate ma che una democrazia liberale deve saper isolare.
Il secondo pericolo è perdere di vista i gravissimi problemi che abbiamo di fronte. La produzione industriale ha appena fatto registrare il ventesimo calo consecutivo, con un bilancio di -3,4% a settembre, che nel settore auto diventa -15,4%. Per non parlare della qualità e della sicurezza del lavoro, degli stipendi bassi, dell’emergenza abitativa nelle grandi città e della desertificazione delle aree interne, dell’inflazione e dei tassi del credito al consumo... Si potrebbe continuare, si potrebbe parlare della montagna di debito pubblico sulla quale siamo seduti ma, insomma, si spera che chi siede a Palazzo Chigi e in Parlamento conosca bene la situazione.
Se non che buttarla sul “rossi contro neri”, facendo finta che sia questa la reale urgenza italiana, può tornare utile un po’ a tutti, in tempo di campagna elettorale. E qui da noi siamo sempre in campagna elettorale: il prossimo appuntamento sono le regionali in Emilia Romagna e Umbria di domenica 17 e lunedì 18 novembre. Due settimane fa si è votato in Liguria. Ecco, questo potrebbe essere un altro problema concreto da risolvere. Forse sarebbe il caso di pensare a come concentrare i turni elettorali dell’anno in una sola data, o in un periodo circoscritto. Almeno fintanto che la politica non si dimostrerà capace di esternazioni responsabili anche in campagna elettorale.
Quello di attribuire all’avversario i vizi e le colpe degli estremisti di quella che si percepisce come la “sua” metà del campo, per collocazione politica, è un vecchio trucco, conosciuto e utilizzato non solo in Italia. Tuttavia ha una controindicazione: fa apparire (o diventare?) estremista anche chi vi ricorre. Mentre adesso, come sempre e probabilmente anche di più, ci sarebbe bisogno di equilibrio.