Caro direttore,«la proposta di don Zeno Saltini non fu quella di un più generoso esercizio delle opere di misericordia, fu quella di una nuova civiltà, che potremmo dire "civiltà dell’amore". La sua non fu una proposta retorica, affidata cioè alle parole e ai buoni sentimenti, fu una proposta realistica, affidata alla forza dei fatti, come quella di Francesco di Assisi, che sperimentò le fraternità dei Minori in un tempo in cui perfino la Chiesa era immersa nella logica del dominio e della guerra. Don Zeno tentò di riprendere il bandolo della società, e cioè i rapporti primari che plasmano la vita associata, quelli della famiglia, e lo fece sfidando l’onnipotenza dell’egoismo biologico, prima radice di ogni violenza, a cominciare dalla violenza connessa alla proprietà privata». Padre Ernesto Balducci ricordava così la figura del fondatore di Nomadelfia e concludeva il suo ricordo con un interrogativo: «Mi domando, a distanza: si è sbagliato, don Zeno, nelle sue attese? Può darsi». Anche Andrea Fagioli, analizzando su questo giornale storicamente l’opera di don Zeno, ha ricordato l’accusa da più parti rivolta al sacerdote di essere un sognatore che riponeva «troppa fiducia nell’uomo». Caro direttore, a pochi giorni dal trentesimo anniversario della sua morte, uno che diceva: «Per cambiare rotta, bisogna cambiare rotta... Si prende in mano il Vangelo e si fa quello che dice... Il mondo è rovinato, è nauseato dalla gente che predica quello che non fa!», era semplicemente un utopista?
Andrea Sillioni, Bolsena (Vt)
Nomadelfia è realtà, caro amico. E non è certo la sola dove «si prende in mano il Vangelo e si fa quello che dice». La forza grande del cristianesimo – che attraversa i giorni, gli anni e i secoli – è di essere la vicenda di un popolo. Segnata dalle contraddizioni come ogni vicenda comunitaria, ma soprattutto straordinario segno di contraddizione alle logiche del mondo, a ogni modaiolo "spirito dei tempi".