Opinioni

Analisi. L'Europa non è più un posto sicuro. Perché Valencia ci riguarda tutti

Massimo Calvi giovedì 31 ottobre 2024
Forse è un po’ esagerato rievocare l’11 settembre 2001 e l’attentato alle Torri Gemelle di New York guardando a quanto accaduto nelle ultime ore in Spagna, a Valencia, dove più di cento persone sono morte – e il conto delle vittime non è ancora completo – a causa di un’alluvione come non si era mai vista, un evento climatico che definire estremo non rende l’idea quanto ricordare che in otto ore è caduta la quantità di pioggia che normalmente da quelle parti scende in un anno.

È vero, il nemico è diverso, la minaccia non è un disegno lucido e folle originato dalla volontà umana di generare terrore, e così il sacrificio di vite umane pagato a una natura verso la quale noi europei abbiamo imparato a rapportarci valutandone la forza e l’imprevedibilità, insieme alla bellezza e ai suoi doni. Ma c’è un punto sul quale dovremmo concentrare le attenzioni in questo momento, pensando a Valencia, e farne tesoro per quanto possibile: è la data da segnare, questi ultimi giorni di ottobre 2024 durante i quali senza averne ancora piena consapevolezza impareremo che di fronte al clima e alle sue trasformazioni l’Europa non è più quel posto sicuro che pensavamo. In questo, e solo in una tale presa di coscienza, possiamo tentare un paragone ardito, perché vedere una moderna città europea sommersa dall’acqua e dal fango che conta i morti a decine è come trovarsi di fronte a un edificio che crolla, l’impalcatura fragile della presunzione umana di poter controllare e risolvere tutto, senza nemici esterni.

Il clima sta cambiando, lo sappiamo, quello che fatichiamo a cogliere è che centinaia di piccoli e grandi eventi che si sommano a un certo punto conducono a un fatto che li riassume tutti, e cambia definitivamente la percezione comune di quanto sta realmente accadendo. Valencia dovrebbe essere questo per noi europei che con impegno e fatica stiamo cercando di capire come gestire una transizione ecologica in modo che possa anche rappresentare un’opportunità di sviluppo e di crescita. Già, ma come, se gli eventi sembrano essere sempre un passo più avanti?

Non stiamo parlando di una tragedia avvenuta nella nazione povera di un continente lontano nel sud del mondo, dove ci arroghiamo il diritto di pensare che il sottosviluppo sia una concausa del dolore, non ci siamo spinti sulla cima di una montagna infragilita accettando una dose di rischio, non c’è un’infrastruttura che ha ceduto a causa dell’incuria e dell’avidità, non si tratta di un vulcano che ha incenerito una città sulle pendici, o di case al fianco di fiumare e torrenti incanalati, nemmeno di una regione che si allaga regolarmente. Anche ipotizzando una prevenzione inefficiente, come sembra emergere in Spagna, una città europea che conta così tanti morti per un evento climatico non può essere la norma nel terzo millennio. C’è qualcosa che sfugge, e forse non controlleremo mai, ma è un dato di fatto: è stato oltrepassato un limite. Quale sarà il prossimo?

Le ricerche stimano già che in Europa 175mila morti l’anno siano legati alle ondate di calore, e la metà di questi dipendano dagli effetti del cambiamento climatico, mentre aumentano gli eventi meteorologici che chiamiamo estremi. Ok, possiamo adattarci, mitigare, discutere. Guardare alle centinaia di auto accatastate nelle vie valenciane, una sopra l’altra, come ai rottami di un’epoca, la pila dei vecchi giocattoli di un bambino che forse ha trovato di meglio. Possiamo anche progettare e costruire mega dighe a protezione dei fiumi, trovare sistemi di allerta ancora più efficaci, mettere sacchi a ogni ingresso e accendere mille condizionatori, installare pannelli solari e pale eoliche ovunque, andare tutti in bici o penalizzare i Suv, a seconda dei gusti.

Realisticamente è più necessario prendere atto, insieme, che è finito il tempo di scherzare e di inseguire piccoli interessi personali, economici o politici. Il clima cambierà ancora, l’impatto di alcune attività umane è provato e le ricerche oggi dicono che superare anche solo per poco una certa soglia di temperatura globale potrebbe avere conseguenze climatiche irreversibili, pure se a un certo punto riuscissimo a tornare indietro. Questo non dovrebbe abbandonarci al fatalismo e alla rassegnazione, ma condurci a quella lucida consapevolezza capace di sostenere le decisioni migliori nell’affrontare una crisi che, sempre di più, riguarda tutti, senza distinzioni.