Coronavirus. Vaccinazione: dopo i medici, tocchi anche ai prof
Dentro a una crisi così buia, si fatica a vedere da dove ricominciare. Le emergenze sono cento, gli italiani fragili e a rischio Covid sono milioni. E forse la fragilità più grande è proprio quella del sistema Paese nel suo complesso.
Ma nel premere di tante urgenze ci deve essere un punto da cui ripartire. La Sanità naturalmente, e le vaccinazioni – quando, speriamo, i vaccini arriveranno. La protezione dei grandi vecchi, dei malati gravi e disabili, certo.
Subito dopo premono altre categorie, tutte degne di tutela. Ma se, guardando un po’ più lontano, cominciassimo a fare funzionare, per prima, la scuola? Se fosse data la precedenza agli insegnanti, o almeno a quelli in là con gli anni, perché tornino in cattedra serenamente? È un’ipotesi sul tavolo del Governo.
Forse perché un malessere giovanile si tocca ormai con mano fra gli studenti, fra i genitori che dicono: non ne posso più, di vederlo chiuso in casa. Come se qualcosa di ben più grande della didattica mancasse: lo stare insieme, l’amicizia, il rapporto con i professori. La stessa vita dei ragazzi, insomma, e da un anno. Un punto su cui poggiare, per ripartire. Potrebbe essere la scuola. Che non produce profitti, ma è asse portante di un Paese. Asse, in Italia, da anni trascurato. E se proprio ora fosse il momento di metterla davanti a molte altre esigenze? Perché noi, vorremmo che questo Paese continuasse. E per continuare occorre che si educhino i figli.
Si discute di riaprire skylift e crociere, ma prima, scusate, pensiamo ai figli. Vaccinare i docenti, dopo i medici e gli infermieri e i più fragili, per riaprire le aule, e fare della scuola il motore di un nuovo inizio. Quasi un dire: andate avanti voi, ragazzi. Aiutateci: abbiamo bisogno di voi. Fino ad ora gli abbiamo detto solo di star buoni. Come si dice ai bambini piccoli, che ancora non capiscono. Ma questi, non sono bambini. Proviamo a dirgli: ricominciate, ripartite voi, che siete pieni di forze. Certo, questo creerebbe tensioni generazionali.
Molti di quei settanta e sessantenni scavalcati nel vaccino dagli insegnanti protesterebbero: e noi? E noi, e mi ci metto dentro io che ho 62 anni, dovremmo sapere, checché ci venga raccontato, che siamo vecchi. Un’età in cui si può diventare più generosi e consapevoli: la vita, la continueranno altri. Consci anche che, Covid o no, a un certo punto – cosa indicibile – comunque si muore. Vorrei pensare che l’Italia si riprenderà, che tornerà a lavorare e a stare insieme e a abbracciarsi, come un anno fa. Proprio per questo non si può smettere di educare, neanche di questi tempi. Non si può smettere di dare ai figli memoria, istruzione, guida, amicizia, voglia di fare. E scuola è tutto questo, insieme.