Cattolici e politica. Contro il rischio del disimpegno e del non-voto
L’ormai imminente appuntamento delle elezioni politiche del 2018 impone ai cattolici impegnati – di ogni età – un serio problema di coscienza. Ci si limiterà a constatare l’accentuata frammentazione delle loro forme di presenza ('cattolici' dappertutto e, forse, da nessuna parte… ) o si cercherà in qualche modo di correre ai ripari? Non è agevole, sullo specifico piano della politica, offrire una risposta a questo interrogativo; ma è invece possibile, e doveroso, darla sul piano ecclesiale, a partire da una preziosa e forse un poco dimenticata affermazione del Concilio Vaticano II: «Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica», seguita dall’invito a riconoscere «la legittima diversità delle opzioni temporali» ( Gadium et spes, n. 75). Vi è dunque un duplice ambito di presenza: una generale vocazione politica, che è di tutti e una specifica scelta di campo nelle diverse formazioni politiche.
La comunità cristiana in quanto tale opera nel primo ambito; i cristiani variamente schierati nei diversi partiti operano nel secondo ambito. Il rischio che sta correndo la comunità cristiana che è in Italia è quello di smarrire il primo polo dell’indicazione conciliare (il dovere di presenza) nel timore di immergersi nelle inevitabili contrapposizioni del secondo polo (le opzioni politiche). Di qui una troppo diffusa tendenza a trascurare l’importante indicazione conciliare in ordine alla presenza nella società per il timore di vedere questa stessa presenza usata strumentalmente per giustificare l’una o l’altra o l’altra ancora scelta di campo. Nasce dalla mancata percezione di questa fondamentale distinzione la sostanziale 'assenza della politica' che – a giudizio di molti osservatori – si è verificata da vari anni a questa parte nella comunità cristiana che è in Italia. Così si è giunti al punto di non sentire più, in occasione delle elezioni tanto politiche quanto amministrative, il dovere del voto.
E questo nonostante gli appelli alla partecipazione responsabile levatisi con appassionata regolarità dalla Cei, da singoli vescovi e da intellettuali e opinion leader cattolici. Voto serio, voto comunque, eventualmente anche solo attraverso la 'scheda bianca', che sta ad indicare un’opaca indifferenza, ma anche eventualmente una forma di protesta nei confronti di proposte non ritenute adeguate. È d’altra parte difficile pensare che quel circa 40% che nelle ultime tornate elettorali, nazionali o locali, non ha votato sia rappresentato tutto da atei o da agnostici… Che votare sia un dovere civico lo affermano con chiarezza non solo le leggi dello Stato ma numerosi documenti della Dottrina sociale e della Chiesa: talché sarebbe follia affermare che chi, eventualmente anche dal pulpito, richiama questo dovere usi strumentalmente della religione.
Né si potrà considerare arbitraria invasione di campo una corale riflessione di una comunità locale sul 'che fare' e su come valutare le diverse posizioni dei partiti: la 'equidistanza', nell’attuale situazione della società e della Chiesa italiana, appare doverosa; ma equidistanza non può, e non dovrebbe mai, significare silenzio. È dunque auspicabile, e doveroso, che nella lunga fase che precede il prossimo voto politico le comunità cristiane, a ogni livello, si confrontino sulla politica, conoscano le diverse proposte e possano valutarle alla luce di quella Dottrina sociale della Chiesa che dopo il Concilio si è arricchita di numerosi e di importanti apporti dei pontefici. A questo proposito 'Avvenire', stavolta persino più di altre volte, sta svolgendo un gran lavoro per aiutare il discernimento.
Che nelle comunità cristiane si torni a parlare di politica – senza invasioni di campo e senza strumentalizzazioni – è doveroso e necessario, per lo stesso dovere che i cristiani hanno di partecipare alla vita nel mondo. Come ricorda un celebre documento delle origini cristiane, la 'Lettera a Diogneto', «ciò che nel corpo è l’anima, questo sono nel mondo i cristiani… Dio ha voluto che essi tenessero un tale posto nel mondo che sarebbe un delitto scegliere la fuga». Nessuna 'via di fuga' dalla politica, e cioè dalla città, dovrebbe essere consentita ai credenti.