Opinioni

Al via l'anno accademico. Università, nuove strade per interpretare il futuro

Lorenzo Caselli giovedì 1 novembre 2018

Del generale rimescolamento di carte dei processi scientifici, culturali e formativi l’Università è chiamata a ripensare se stessa, a riposizionarsi rispetto a una situazione complessa, in movimento, ricca di contraddizioni. La formazione trascende oggi i suoi ambiti tradizionali e viene ad assumere perlomeno un duplice ruolo: da un lato, essa si configura quale risorsa economica e quale fattore di competitività del sistema Paese; dall’altro, come fondamentale diritto di cittadinanza ovvero come garanzia di libertà rispetto a più futuri possibili.

Il cambiamento è oggi sempre più rapido, i cicli di vita delle conoscenze, delle tecnologie, dei prodotti, dei servizi si accorciano sempre di più. Le esperienze acquisite attraverso lo studio, il lavoro e la ricerca si bruciano in tempi molto brevi. L’Università deve sapersi misurare con esigenze formative sempre più diversificate e articolate nell’ambito di un nuovo intreccio studio-lavoro. Occorre pertanto saper riflettere in termini dinamici, pensare a persone che nell’arco della vita svolgeranno percorsi individuali e collettivi il cui esito sarà dato dalla loro qualità intrinseca, qualità alimentata dalla formazione, ma anche dalla rete delle condizioni e delle occasioni di promozione e di valorizzazione esistenti nel sistema sociale. Un giovane per potersi muovere efficacemente nell’ambito di questa rete di opportunità non ha bisogno tanto o soltanto di nozioni, ha bisogno piuttosto di "saper essere" e quindi "di saper fare". Più specificatamente deve essere posto in grado di definire e risolvere problemi; deve imparare a conoscere i codici dei sistemi nei quali opera; deve essere capace di controllare i processi, pronto all’innovazione e all’accumulo del sapere, disposto a cooperare costruttivamente.

L’Università è chiamata a misurarsi non soltanto con esigenze formative sempre più diversificate, ma anche con una ricerca pervasiva e multidirezionale, che va avanti attraverso l’ibridazione dei saperi. Certamente nell’ambito della ricerca anche le imprese e le istituzioni devono fare la loro parte. Il problema non è però quello di giocare allo scaricabarile. Occorre semmai creare le condizioni per un incontro costruttivo tra la ricerca di base, sempre più necessaria, la ricerca applicata e la diffusione dell’innovazione sul territorio dando vita a nuove funzioni e a nuove strutture collaborative. Per soddisfare tali esigenze, per procedere in direzione di un suo riposizionamento strategico, l’Università deve dotarsi di una capacità di lettura del cambiamento nonché di promozione, non subalterna o acritica, di interfacce con il sistema socioeconomico territoriale, concorrendo anche a proiettare i sistemi locali in cui essa opera in un contesto internazionale più ampio. Nel contempo, l’Università deve realizzare una capacità moltiplicativa e diversificata dei suoi servizi, mettendo a fattore comune più facoltà o scuole, più dipartimenti, rompendo tutta una serie di compartimenti stagni sia organizzativi sia comunicativi che oggi impediscono sovente la consecuzione delle indispensabili masse critiche.

Ci troviamo nell’ambito di una situazione universitaria complessa, dinamica, articolata, che non può però essere ridotta alla chiave interpretativa e normativa del solo "mercato". Anche se dal mercato possono derivare all’Università stimoli molto utili in termini di autonomia, di spinta all’innovazione, di capacità di competere, di rispondere alle esigenze del sistema, essa non può però essere definita dal mercato e non può porsi a valle delle sue convenienze. In altre parole, per l’Università non esiste soltanto il mercato, esiste la società, la società civile, nel suo complesso e nelle sue articolazioni. Esistono domande di ricerca non economiche in senso stretto, ma che ciò non ostante sono meritevoli di essere perseguite. C’è la competizione, ma c’è anche la solidarietà. Esistono le tecniche, le professionalità, ma esiste anche la cultura.

C’è una questione ineludibile dalla quale non si può prescindere. Che tipo di uomo, o meglio di giovane, preparare per il domani? Per tentare un abbozzo di risposta crediamo sia utile ripartire dai due ruoli fondativi dell’Università, quello di essere ad un tempo istituzione di ricerca e soggetto di formazione. La produzione del sapere e la sua socializzazione critica sono intimamente connessi, o meglio, tali dovrebbero essere. L’Università è luogo fatto di laboratori, ma anche di aule, è popolata da ricercatori e da giovani, da giovani portatori di una speranza di futuro. E proprio il rapporto con i giovani può avere per i docenti una valenza quasi epistemologica e metodologica. Il rapporto con i giovani, vissuto in maniera feconda, può garantire all’Università la possibilità di proiettarsi al di fuori dell’immediato, dell’interesse contingente. Con altre parole può contribuire ad evitare di cadere in ottiche meramente positivistiche che finiscono per rinchiudere l’Università in una razionalità limitata e scettica.

Pur nella complessità e contraddittorietà delle situazioni, si apre per l’Università la possibilità di strade nuove. Da parte di molti si percepisce ormai che il progresso e la modernità non possono esaurirsi in un mero assemblaggio di innovazioni tecnico scientifiche trainate dalla sola domanda di mercato. Il mondo dei valori, la sostenibilità, le istanze etiche e spirituali non possono essere messe tra parentesi. Sempre più ci si interroga sulla necessità di radicali cambiamenti di paradigma. Il sapere deve essere al servizio dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo. La comunità universitaria è chiamata a cogliere e ad esplicitare la costitutiva umanità dell’agire scientifico, nell’insieme delle sue dimensioni. Ciò significa quindi saper operare con la coscienza del limite. Il sapere rinvia sempre a qualcosa d’altro: vi è un principio di non appagamento. Coscienza del limite dunque e nel contempo della destinazione universale della scienza.

L’Università può recuperare il suo privilegio costitutivo e strutturale, che è quello di offrire una visione del mondo che non è strettamente tecnico professionale, ma che permette di capire le tecniche e le professionalità, collegandole a una più generale capacità di giudizio. In un’epoca di esasperati specialismi, l’Università deve farsi anche propositrice di idee generali. Idee generali come quelle di giustizia, di dignità delle persone, di democrazia, di cittadinanza, di solidarietà sono il sale della nostra coscienza individuale e collettiva, e una Università a servizio di tali idee non solo non è meno autonoma, ma può ritrovare il senso più autentico della propria missione.
Professore emerito Università di Genova