Intervento. L'università? Va riaperta alla realtà. La sfida del “noi”
L'Università Cattolica di Milano
«L’educazione è sempre un atto di speranza che, dal presente, guarda al futuro». Queste le parole rivolte dal Santo Padre agli accademici coinvolti nel programma Global Compact on Education e riprese nella Giornata Mondiale della Gioventù all’Università Cattolica di Lisbona nel 2023. Mi piace partire proprio da queste parole per spiegare l’essenza oggi di una “comunità educante” generativa di speranza. In un tempo di polarizzazioni e complessità inedite, la scuola e le università sono luoghi che vivono del dialogo tra generazioni per darsi reciprocamente speranza. Luoghi dove l’attenzione alla realtà, con uno sguardo al futuro, è prioritaria per conoscere, scoprire, porre domande, cercare risposte alle questioni contemporanee. Luoghi chiamati ad aprirsi al mondo, nelle reti di ricerca nazionali e internazionali, nonché nei rapporti e nel confronto con le diverse componenti della società, dal mondo delle professioni alle istituzioni economico-sociali e politiche.
Luoghi quindi preziosi poiché se proviamo a dare uno sguardo a quanto ci circonda la speranza è messa a dura prova. La globalizzazione non ha dato i frutti sperati. La crisi finanziaria mondiale ha messo in discussione il paradigma economico dominante. La pandemia ha minato profondamente il sistema basato sulle relazioni. I recenti conflitti sono fonte di paure e incertezze. In un’epoca come questa, richiamando Péguy, quello che è più facile è l’inclinazione a disperare, “grande tentazione” del nostro tempo.
Un tema quello della disperazione che è oggetto di studio anche in ambito economico, come nel libro Morti per disperazione e il futuro del capitalismo di Anne Case e Angus Deaton, quest’ultimo premio Nobel per l’economia nel 2015 per i suoi lavori sulle disuguaglianze. I due studiosi osservano che, dalla fine degli anni Novanta, una parte della popolazione statunitense muore più di prima proprio per cause dovute a situazioni di disperazione e solitudine. Fenomeno che gli studiosi riconducono ai numerosi limiti dell’attuale modello politico ed economico capitalistico.
Di qui l’urgenza dei “segni concreti di speranza”, invocati da Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo. Per aprire la strada al bene comune, è necessario superare l’individualismo crescente, passando dalla dimensione dell’io a quella del noi, come è emerso in un dialogo con il cardinale Zuppi durante un seminario dei teologi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’educazione è il terreno naturale in cui questo passaggio prende forma. Voglio affidarmi alle parole del Cardinale Tolentino de Mendonça pronunciate nel dies academicus del nostro Ateneo a Roma nel febbraio 2023, quando ha definito l’università il “trionfo del noi”, l’opposto della solitudine. Una prospettiva secondo cui l’università è, per sua natura, interessata da un processo di costante rinascita, che è alla base del suo mandato generativo di dare speranza.
Qui entrano in gioco professori e ricercatori. Mi piace molto pensare a loro come ad “artefici di speranza”, capaci con il loro pensiero e i loro studi di imprimere un cambio di visione rispetto al tempo presente per la costruzione di nuovi paradigmi orientati al bene comune e al servizio della persona. Ciò implica il sapersi continuamente interrogare sulle questioni radicali e richiede la forza di formulare domande di senso che guardino al futuro, non limitandosi a dare risposte ai temi di ieri.
Ma i docenti sono anche educatori, con la missione di prendersi cura delle nuove generazioni, responsabilizzandole e rendendole protagoniste senza svilirne i sogni e anzi alimentandone le passioni. Questo impone di avviare processi basati sull’ascolto dei giovani per comprenderne i bisogni, abituarli alla consapevolezza dei propri limiti e stimolarli a partecipare nella vita sociale e democratica.
Rettrice dell'Università Cattolica del Sacro Cuore