Una cresta sottile, a volte sottilissima separa la "ragion di Stato" dai princìpi etici che uno Stato di diritto è chiamato a perseguire e a osservare, tanto da non saper più distinguere dove prevale l’una e dove è indispensabile rispettare gli altri. La nozione stessa di "ragion di Stato" coniata e analizzata nel lontano 1589 da Giovanni Botero - ha finito per esser soppiantata dal meno imbarazzante concetto di
interesse nazionale, in nome del quale si agisce o in determinate circostanze
non si agisce per evitare conseguenze peggiori. La tragica vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore scomparso e poi ritrovato cadavere con evidenti segni di torture alle periferia del Cairo, ripropone - ma non è che l’ultimo caso eclatante quel dilemma in cui le democrazie parlamentari frequentemente s’imbattono: affrontare con risolutezza un Paese amico e grande partner commerciale come l’Egitto inchiodando il suo presidente alle sue responsabilità (quella politica, prima di tutto) rischiando una rottura con un importante alleato nella lotta contro il terrorismo e il Daesh o accontentarsi di un’infame fumisteria come quella che finora le autorità di polizia egiziane hanno proposto allo scopo di prendere tempo e di occultare le circostanze in cui è maturato e avvenuto l’omicidio? Né l’una né l’altra, direbbe il buon senso, ma non siamo così sicuri che sia il buon senso a prevalere. L’Egitto di Abd al-Fattah al-Sisi, il sessantaduenne ex capo di Stato maggiore che nel luglio del 2013 depose l’allora presidente Muhammad Morsi dando avvio a un’implacabile repressione nei confronti dei Fratelli musulmani (40 mila arresti, 415 condanne a morte eseguite, migliaia fra giornalisti, intellettuali, artisti e semplici dissidenti arrestati e uso sistematico della tortura), è tutto fuorché una democrazia. Sono in molti oggi, nonostante una parvenza di pluralismo che tollera una blanda opposizione di stampo liberale e concede maggior libertà alla minoranza cristiana, a rimpiangere l’era di Hosni Mubarak, un rais paternalistico e non meno ambizioso di al-Sisi, ma forse meno accecato di lui dal potere e dal culto di se stesso. Nessuna 'ragion di Stato', nessun interesse nazionale può esimerci dal pretendere dall’Egitto e dal suo regime militare tutta la verità, quale che sia, su questo crimine efferato. Ben sapendo tuttavia che l’esito dell’indagine non può spingersi a far perdere la faccia al presidente al-Sisi. In queste ore l’intera comunità internazionale guarda con ansia alla faticosa ricerca di un compromesso onorevole fra Roma e Il Cairo: la consegna alla giustizia dei responsabili materiali della morte di Regenti e di coloro che hanno tentato di depistare le indagini, la restituzione della salma del giovane alla famiglia sono il passo necessario e obbligato perché le relazioni fra Italia ed Egitto restino amichevoli. Bene ha fatto Renzi a pretenderlo pubblicamente, e bene ha fatto l’Unione Europea per bocca dell’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini a esigere la massima chiarezza sulla responsabilità e la dinamica della morte dello studente italiano. Quando il caso verrà chiuso e la dolorosa vicenda ricomposta, non potremo tuttavia dirci completamente soddisfatti. Il contrasto forse irrisolvibile fra gli interessi nazionali e i princìpi etici non si limita certo al solo Egitto: un alleato prezioso nell’incendiario quadrante mediorientale, come prezioso era stato per l’Occidente quel Saddam Hussein che certo non era un campione di diritti umani ma che era strategicamente fondamentale per arginare le ambizioni dell’Iran degli ayatollah, come preziosa per la sua posizione geografica e la sua appartenenza alla Nato risulta tuttora la Turchia di Erdogan, nonostante il lezzo che ne emana dallo scempio delle più elementari libertà. Chi fra le grandi democrazie occidentali, quelle che hanno dato i natali a Thomas Hobbes, a Justus Lipsius, a Montesquieu, a Cesare Beccaria si permetterebbe oggi di inimicarsi o soltanto criticare pubblicamente l’Arabia Saudita o il Qatar, Paesi dove - non meno che nel sedicente Califfato - si lapidano le adultere, si frustano le ragazze senza velo, si celebrano esecuzioni capitali nelle pubbliche piazze ma si fanno anche lauti affari? Questione di interesse nazionale, appunto.