Cambio di estetica e incuranza. Un’estate tatuata (senza più buon gusto)
E la chiamano estate, questa estate di tattoo. L’avrete notato anche voi, ormai il 90% dei bagnanti sulle nostre belle spiagge italiane mostra orgoglioso un corpo tatuato. I più moderati sfoggiano epidermici ologrammi, origami, loghi floreali e disegni tribali dalle svariate forme e misure. Per la maggiore vanno i nomi della persona più cara o le frasi evocative dai caratteri cangianti: si va dal ramazzottiano 'più bella cosa di te' fino a frasi sibilline o in qualche lingua incomprensibile, che tradotta magari dice semplicemente 'ricordati che devi morire' o 'alza la tavoletta prima di fare pipì'. I più originali si 'placcano' l’immagine del proprio idolo: dal Che Guevara maradoniano alla compianta e ipertattoo Amy Winehouse. Poi ci sono gli estremisti, i fautori del tatuaggio integrale, i 'pittati' in ogni zona del corpo. Rettili bipedi, policromi, che avvicinandosi alle docce catturano le attenzioni degli adulti e lo stupore dei bambini ancora ingenui e dalla cute vergine. Ma attenzione, si cominciano a vedere anche minorenni con lo stesso simbolo o casato di famiglia marchiato sulla pelle per volere – o con il consenso – di papà e mamma.
'Ma dove andremo a finire?', si chiede indignata la signora, la vicina d’ombrellone che aborre il tatuaggio e ha come unico segno distintivo sul proprio corpo il taglio per l’appendicite. Agli occhi della folta popolazione dei tatuati quel taglio stagionato da bisturi è un 'scarnificazione', uno scorticamento volontario e doloroso della pelle al quale si sottopongono solo i più audaci (i più folli). Eppure, una volta, neppure tanto tempo fa, i tatuaggi erano il segno distintivo dei lupi di mare e dei galeotti. Gente con il pelo sullo stomaco e con diverse pene da scontare che combattevano il dolore interiore incidendosi da soli con aghi artigianali, rischiando il tetano e altre infezioni. Rischi che corrono, ma non lo sanno e non accettano che lo si dica, anche i tatuati del terzo millennio. Ma loro non si curano delle conseguenze e del dolore.
Alla signora sessantenne che vuol restare 'gggiovane' con il gran delfino stampato sulla schiena non importa se tra qualche tempo la sua pelle cederà e quel gigantesco pesciolone posto tra le sue onde grinzose si trasformerà in un minuscolo lavarello. E quelli dalle braccia imbrattate, e sono tanti, troppi, che non possono più nemmeno donare il sangue in caso di emergenza... Non importa. Ormai ciò che conta sulle nostre spiagge non è più mostrare la tintarella di luna, essere neri abbronzati o rossi come i peperoni. No, conti soltanto se fai parte del branco e puoi mostrare il tuo ultimo tattoo, uno per ogni lacrima, uno per ogni gioia, uno per ogni assurdità vissuta, sulla propria pelle, in questo tempo di replicanti tatuati.