In Francia soffia il vento del cambiamento. In quale direzione e con quale intensità lo vedremo già stasera, quando la corsa all’Eliseo avrà compiuto il suo primo tratto di strada e dalle urne usciranno i nomi dei due sfidanti che si affronteranno nel ballottaggio decisivo del 6 maggio. Una cosa appare certa: i francesi si preparano a voltare pagina. Lo faranno decisamente se alla presidenza andrà François Hollande, il candidato del Partito socialista, l’esponente di una sinistra che sogna la rivincita da diciassette lunghissimi anni, dal giorno in cui finì l’epoca Mitterrand. Il leader dell’opposizione ha preannunciato una grande svolta in economia sulla base di un generoso programma di spesa pubblica e di ridistribuzione delle risorse che dovrà essere sostenuto da una robusta patrimoniale sulla ricchezza.
È un guanto di sfida lanciato al mondo dell’alta finanza, «il nemico che impedisce la crescita ». Ed è un segnale lanciato all’Europa succube del «rigorismo tedesco», costretta a indossare una camicia di forza che va sotto il nome di 'Patto fiscale' e dev’essere strappata via al più presto. Così la pensa Hollande.
Ma anche se, contro il pronostico, venisse riconfermato presidente Nicolas Sarkozy, molte cose sono destinate a mutare. Il presidente uscente che nel 2007, all’inizio del suo mandato, aveva promesso una grande "rupture" ultra-liberista oggi ammette la necessità di un nuovo modello sociale, vuole una «Francia forte » che assomiglia molto ad una Francia protezionista e alza la voce con l’Europa, cui chiede di cambiare regole in materia di libera circolazione (modificando il Trattato di Schengen) e di sostegno allo sviluppo (ridiscutendo statuto e ruolo della Banca centrale europea). Al di là delle due visioni a fare la differenza è soprattutto la personalità dei candidati. Hollande, favorito dai sondaggi, leader per caso e senza grande carisma, è apparso moderato e prudente, invitando i suoi sostenitori «a non dare la vittoria per scontata». Sarkozy, passionale e iper-attivo, si è buttato nella mischia elettorale con grande irruenza, nel tentativo di risalire la china dell’impopolarità e scommettendo su «un risultato a sorpresa».
Il primo si è mosso il meno possibile, con l’unica preoccupazione di non compiere passi falsi. Il secondo si è agitato all’inverosimile, tra improbabili mea culpa e rabbiosi scatti d’orgoglio. In questa strana corsa, la lepre Sarkozy riuscirà a raggiungere la tartaruga Hollande, o comunque a ridurre la distanza pronosticata dai sondaggi? È questa una delle grandi incognite del voto di oggi. L’altra, non meno importante, riguarda la somma di consensi ottenuti dalla candidata d’estrema destra, Marine Le Pen, e da quello dell’estrema sinistra, Jean-Luc Mélenchon. Si battono per "la medaglia di bronzo", un terzo posto che potrà condizionare pesantemente il risultato finale. Un successo del leader del Fronte di sinistra farebbe ombra al candidato socialista, sollecitato a spostarsi su posizioni più radicali. Molto dipenderà dai voti che riuscirà a raccogliere François Bayrou, il leader centrista legato alla tradizione democristiana che nel 2007 arrivò al terzo posto ma che oggi, preso in mezzo dai fuochi contrapposti della demagogia, appare come un isolato Cyrano.
Non si tratta solo di ricette economiche. La partita che si gioca in Francia avrà inevitabili ripercussioni in Europa. E sarà importante anche per quanto riguarda il modello di società ed i valori di fondo che devono ispirare una reale democrazia. La laicità "negativa" cui sembra ispirarsi Hollande, sostenitore del matrimonio omosessuale e dell’eutanasia, non può lasciare indifferenti. È vero, non se n’è parlato molto nel corso della campagna elettorale. Ma questo non vuol dire che non si sarà costretti a parlarne domani. La Spagna di Zapatero insegna.