Opinioni

Al voto il 14 maggio. Una Turchia più fragile e povera al bivio della sua democrazia

Marta Ottaviani giovedì 11 maggio 2023

Il 14 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento e la scelta del Capo dello Stato. Il presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, cerca la terza riconferma consecutiva, nell’anno in cui si celebra il primo centenario della Repubblica turca

L’opulenza nelle vie del centro, nuove infrastrutture che connettono sempre più velocemente una megalopoli da 18 milioni di abitanti. Ma, dietro alla città-vetrina, c’è un popolo che fa sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese e il dramma degli ultimi: i rifugiati siriani, che ormai possono contare sempre meno anche sulla solidarietà della gente. Storie che si fondono e confondono, alla vigilia di un voto chiave per il futuro del Paese, ma non solo. Il 14 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento e la scelta del Capo dello Stato.

Il presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, cerca la terza riconferma consecutiva, nell’anno in cui si celebra il primo centenario della Repubblica turca, che negli ultimi due decenni ha cambiato faccia anche grazie a lui. Ma il prezzo da pagare, in termini di diritti e libertà è stato altissimo e adesso che l’economia arranca, il suo trionfo alle urne è tutto fuorché certo. La Turchia, però, sembra non avere ancora deciso.

Le acque del Bosforo non erano così azzurre da decenni. Un colore quasi irreale, per chi è abituato a vederlo in periodi di normalità. Sembrano quasi fatte apposta per riflettere le luci del Galataport, il nuovo porto per le navi da crociera, che accoglie i turisti con una carrellata di negozi delle più note marche internazionali. L’ultimo biglietto da visita, solo in ordine temporale, di Istanbul e che verrà presto sostituito dalla nuova metrotramvia che corre lungo la sponda ovest del Corno d’Oro, che è stata completamente riqualificata. Segni di una megalopoli in continua trasformazione, che vuole stupire e ammaliare, insieme con i nuovi quartieri residenziali, categoria extralusso, che stanno sorgendo in periferia, dotati di ogni comfort e dove non si dimentica mai nemmeno la costruzione della moschea. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan, sembra come posseduta dalla smania di costruire ovunque, non solo nell’antica Costantinopoli. Il benessere, soprattutto quello espresso attraverso l’apparenza, ha raggiunto anche le località più remote dell’Anatolia.

Dietro tanta prosperità, si celano crepe che stanno mettendo a dura prova la maggioranza della popolazione e che potrebbero rappresentare un serio ostacolo per il presidente. L’inflazione è ancora stabilmente sopra il 50% e seppure ci sono oltre 30 punti percentuali in meno rispetto al record dello scorso novembre, quando ha fatto segnare un aumento dei prezzi record dell’89%, di certo non si può dire che la situazione sia sotto controllo. Le tasche dei turchi sono vuote. L’ultima dimostrazione è arrivata dalle spese effettuate durante e dopo il Ramadan, il mese sacro del digiuno nell’Islam sunnita.

Secondo una ricerca che è circolata la settimana scorsa, il 69% degli intervistati ha dichiarato di non potersi permettere di partecipare a una iftar (la tradizionale cena che rompe la giornata di digiuno) in un ristorante. Il 59% ha ammesso di non poter invitare amici o parenti sia in occasione delle Iftar, sia nei tre giorni di festa che concludono il Ramadan per motivi economici. Istanbul è perfettamente in linea con i risultati del sondaggio. Ai tempi della “Turchia felix”, ossia della crescita economica forte e solo in apparenza stabile garantita dal presidente Recep Tayyip Erdogan, per cenare in un ristorante durante il Ramadan era necessario prenotare diverse sere prima, perché tutti venivano puntualmente presi d’assalto in occasione delle iftar. Quest’anno posto se ne trovava in abbondanza, proprio in uno dei periodi dell’anno in cui i turchi spendono di più. L’inflazione ha provocato l’aumento dei generi alimentari che, inevitabilmente, ha avuto conseguenze sui menù proposti che, in alcuni quartieri di Istanbul, sono arrivati anche al 100% di aumento.

Il popolo turco è preoccupato per il carovita e a questo va aggiunto anche il segno che il terremoto del 6 febbraio scorso ha lasciato nella popolazione. Ovunque è ancora possibile vedere avvisi di raccolte fondi e inviti a non dimenticarsi delle vittime.

A fare da contrasto con l’apparente opulenza di Istanbul ci si è messa anche una campagna elettorale al momento sotto tono. Il periodo non è dei migliori. Il popolo turco è preoccupato per il carovita e a questo va aggiunto anche il segno che il terremoto del sei febbraio scorso ha lasciato nella popolazione.

Persone in fila per ricevere gratuitamente un panino e dell’acqua distribuiti da un camper della campagna elettorale del presidente Tayyip Erdogan in vista delle elezioni del 14 maggio - Reuters

Ovunque è ancora possibile vedere avvisi di raccolte fondi e inviti a non dimenticarsi delle vittime della tragedia e delle migliaia di sfollati che hanno perso tutto. A questo va aggiunto il timore che il sisma si possa ripetere in altre parti della Turchia e che si rischino nuovamente decine di migliaia di morti.

Stando a studi pubblicati in questi due mesi, le case nel Paese non sono state costruite con criteri antisismici e sono a rischio crollo in caso di una scossa forte come quelle che si sono verificate a Gaziantep e Kahranmaras. A Istanbul sono stati stimati come poco sicuri i due terzi delle costruzioni totali. Il guaio è che molti complessi sono stati edificati negli ultimi 20 anni, ossia quando Erdogan era già saldamente al potere e soprattutto quando si doveva aver fatto tesoro della tragedia del 1999, quando un terremoto devastò la parte asiatica del Mar di Marmara, con 17mila morti. Nel sud-est del Paese, le vittime sono state oltre 50mila.

Una situazione drammatica, dove, nelle aree colpite dal terremoto, ma non solo, le spese le stanno facendo i rifugiati siriani. Se c’è una cosa che accomuna tutti i partiti, tranne quello curdo, in questa campagna elettorale, sono i toni contro i migranti che arrivano dagli oltre 900 chilometri che dividono la Turchia dalla Siria. La solidarietà incondizionata, le promesse di accoglienza sembrano un lontano ricordo, tanto più ora che Ankara e Damasco sono costrette ad andare d’accordo per non infastidire Mosca. Erdogan, prima del sisma, stava per rispedire mezzo milione di rifugiati oltre il confine. Il cataclisma ha bloccato tutto.

Per le strade di Istanbul capita ancora troppo spesso di osservare madri che frugano nella spazzatura per reperire cibo per i propri figli e bambini costretti a chiedere la carità fuori dai negozi

Le altre forze politiche ne hanno approfittato e, oltre al problema della sicurezza, aggiungono anche il motivo nazionalista. Intanto, per le strade di Istanbul capita ancora troppo spesso di vedere madri che frugano nella spazzatura per reperire cibo per i propri figli e bambini costretti a chiedere la carità fuori dai negozi. Scene che contrastano con le luci del Galataport riflesse sul Bosforo e la pulizia delle nuove stazioni della metropolitana. Come se la Turchia, arrivata al bivio della sua democrazia, abbia deciso di mostrare tutta la sua fragilità.