Il coraggio della fede, la forza del perdono, la sfida del dialogo. Dalla Corea del Sud, avamposto dell’Asia e frontiera del mondo giovane, il Papa ha indicato i punti cardinali, le linee guida della Chiesa che vorrebbe: autenticamente «in uscita», missionaria nel Dna, povera per i poveri. Gli stessi ingredienti necessari a una politica che metta davvero al centro l’uomo, capace di profezia e dunque di servire la verità fermando coralmente l’ingiustizia (comunque si manifesti), in grado di sacrificare i propri particolarismi a una visione più grande, che va oltre l’angusto ambito dei confini geografici. Perché la Chiesa, e così la società degli uomini, è fatta di persone, chiama in causa innanzitutto i singoli, interpella i cuori, costruisce comunità e relazioni forti e dopo, soltanto dopo, disegna strategie. Ecco allora il modello dei martiri, quelli saliti all’onore degli altari così come i tanti uomini e le donne anonimi, anche oggi disponibili a sacrificare la propria vita per il Vangelo. Inutile dire che il pensiero corre all’Iraq ostaggio della furia jihadista, terra che il Papa - come ha rivelato ieri - vorrebbe poter toccare per farsi ancora più prossimo ai fratelli perseguitati, ma non dimentica il dramma della Siria e neppure la ferite rimaste aperte in Orissa, il grido della Nigeria, la lotta soffocata dei
cristeros messicani, i copti egiziani messi sotto assedio da chi doveva garantire una nuova "primavera" di libertà… Martiri il cui esempio, la cui lezione, più ancora che all’estremo sacrificio di sé, rimanda all’importanza della carità quotidiana, è un invito a mettere Cristo al di sopra di tutto, a leggere ogni cosa alla luce del suo insegnamento, nella prospettiva del suo Regno. I neo-beati – ha detto il Papa sabato scorso parlando di Paolo Yun Ji-chung e dei suoi 123 compagni – «ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui siamo disposti a morire». Detto in altro modo, il loro sacrificio è un invito a evadere dal ristretto ambito di noi stessi, è una scuola di libertà, quella che nasce dal servizio agli altri, a cominciare dai più poveri e bisognosi. I prediletti dal Signore.Tutti siamo chiamati a iscriverci alla loro scuola, l’uomo di successo come il disoccupato, l’attempato saggio come i ragazzi. Anzi, lo "studente" privilegiato è proprio chi è meno pratico della vita. A loro, ai giovani, il Papa ha chiesto di "alzarsi", di essere vigilanti, di trasformare il naturale ottimismo in speranza cristiana, l’energia in virtù morale, la buona volontà in amore genuino. Una ricetta che vale per il presente dell’Asia, che dà linfa alla sfida della riunificazione delle Coree, ma che in fondo guarda al mondo intero, che come in un domino virtuoso chiama i cristiani di ogni latitudine al dialogo e all’apertura verso tutti. Perché mentre prega per la Cina e per la possibilità di predicare liberamente Cristo in quel territorio immenso, il Papa non dimentica le tante insidie più subdole, dall’indifferenza all’ipocrisia di chi professa la povertà e poi vive da ricco, che ostacolano la diffusione del Vangelo. Emblematico in questo senso il discorso ai vescovi dell’Asia, vero e proprio vademecum del dialogo, sintesi dello stile e del contenuto che deve alimentarlo. Ai presuli, ma in fondo a ogni credente, Francesco ha indicato come primo requisito per incontrare l’altro, la consapevolezza della propria identità, che non significa prevaricazione o arroganza, ma anzi deve aprire le porte all’autentica empatia, alla sincera accoglienza verso chi ci è davanti. «Se vogliamo comunicare in maniera libera, aperta e fruttuosa – ha aggiunto il Pontefice – dobbiamo avere ben chiaro ciò che siamo, ciò che Dio ha fatto per noi e ci richiede».Le insidie, i nemici del dialogo infatti, sono agguerriti e pericolosi. Si chiamano relativismo e superficialità, si nascondono dietro le risposte facili, le frasi fatte, le leggi e i regolamenti. Il Vangelo invece non ha bisogno di burocrazia, parla direttamente ai cuori, è una scuola di verità. Si manifesta nella tenerezza dei gesti semplici, trova casa nella più umile delle periferie, abita nel coraggio dei martiri. Come una lacrima che apre le porte al perdono, come una finestra di luce, come un piccolo fiore che colora e profuma il deserto.