Il Covid, la consapevolezza di tanti operatori, il compito della politica Caro direttore, è tempo di rinascita per le Rsa. Dopo tanti danni materiali e morali, tante crisi subite, che hanno creato grandissima sofferenza, non è più possibile ritornare al tempo di prima. Ho recentemente tenuto una lezione ad un gruppo di operatori sull’evoluzione post-Covid delle Rsa. Sono stato sorpreso per la decisione con la quale gli ascoltatori a un certo punto hanno amichevolmente interrotto la mia relazione, pretendendo maggiore coraggio nel definire un percorso di 'rinascita'. Hanno chiesto idee per la costruzione di una prospettiva innovativa, perché il Covid-19 non deve essere vissuto come la semplice interruzione di un percorso lineare, ma come l’inizio di un nuovo 'mondo vitale' nel quale le Rsa devono collocarsi. In questo periodo la politica sembra aver abbandonato le Rsa, con ovvie conseguenze, tra le quali la più importante è il silenzio del Piano nazionale di ripresa e resilienza; una situazione dalle conseguenze per alcuni aspetti drammatiche, che forse però potrà permettere maggiore libertà per riprogettare il futuro, se le realtà locali avranno la forza di reagire. Tuttavia, per pensare razionalmente al domani è doveroso porsi alcune domande, per comprendere in quale atmosfera culturale e organizzativa si colloca la volontà di rinascere: le Regioni pensano ancora che nelle Rsa occorra personale formato o va bene chiunque, tanto gli standard sono saltati? La politica crede ancora nel dovere di assicurare ai residenti un minimo di cure, per permettere loro una vita da cittadini e non come pesi ingombranti per un’organizzazione sociale che vuole sentirsi libera? Hanno capito che se le Rsa e i loro ospiti vengono di fatto abbandonati nel vuoto, questo è il primo passo per abbandonare anche altre categorie di persone fragili, ammalate, povere? Ho molto apprezzato le indicazioni del gruppo di giovani operatori per il loro impegno verso una 'rinascita'; mi hanno convinto che in questo momento solo un pensiero non continuista permetterà di progettare una vita vera per gli ospiti delle strutture per anziani. Certo, mancano gli operatori, i bilanci sono stati compromessi dal Covid-19 e dalle vicende a esso correlate, e chi dovrebbe pensare è spesso bloccato dalla retorica del passato (vedi le banalità sempre ripetute attorno all’umanizzazione); non esistono sedi di studio e ricerca dove realmente si possa ipotizzare un futuro di rinascita. Alcuni mondi, però, dovrebbero prendere iniziative coraggiose; penso a quello della cooperazione, alle Fondazioni, a quelli legati alla tradizione religiosa, alle sperimentazioni iniziate in alcune località... c’è ancora un enorme lavoro da compiere, anche creando alleanze con il mondo della ricerca. Non è più il tempo del restauro, ma di nuovi progetti per far vivere bene gli ospiti nelle strutture. In questa prospettiva è necessario offrire una formazione sempre più qualificata a chi lavora, per arricchire di competenze la grande generosità dimostrata dagli operatori negli ultimi mesi. Dobbiamo pensare alle Rsa come luoghi di vita, dove c’è desiderio e impegno per rinascere. Cura e vita sono la stessa parola, perché senza cura non c’è vita; ma la cura vera richiede che anche le comunità locali siano disponibili a correre il rischio, insieme con le loro strutture per anziani, di pensare radicalmente al nuovo. Una grande, nobile tradizione in grado di produrre idee radicalmente nuove. Durante la pandemia abbiamo spesso creduto che non vi fosse più futuro per molte delle nostre realtà; ora, invece, stiamo capendo che in un’Italia che invecchia c’è spazio tecnico, morale e civile per un nuovo inizio.
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