Il tempo liturgico incarnato nell’oggi di tutti i cristiani. Una Pentecoste di vera missione
Il ciclo annuale delle feste liturgiche non è una cadenza ripetitiva di eventi fissati una volta per sempre, ricorrenti in modo sempre uguale a se stessi. Perché il tempo liturgico non è un tempo parallelo, avulso dall’oggi, ma a esso profondamente ritmato. Questo ne diventa "terreno" di attualizzazione, "grembo" di gestazione e di vita. Ciò vale per ogni tempo e ricorrenza liturgica. Vale in special modo per la Pentecoste. Perché con essa ha inizio la missione dello Spirito Santo, che riprende e feconda nella storia la missione del Risorto, sino alla fine dei giorni. A quest’oggi della Pentecoste volge l’attenzione Papa Francesco nelle sue catechesi quotidiane. La volge in rapporto alla «massima sfida per la Chiesa» oggi, rappresentata dalla «causa missionaria», che «deve essere la prima» nella consapevolezza dei cristiani e delle Chiese. L’ha rivolta in modo puntuale e completo nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, in cui ha tracciato l’impianto della missione evangelizzatrice della Chiesa. Impianto che ha nello Spirito Santo il suo architetto, la sua anima e il suo agente. Non per nulla ne è il soggetto primo, cui ogni cristiano e comunità ecclesiale sono chiamati a rapportarsi, in una relazione di ascolto e discernimento, di confidenza e docilità, di testimonianza e missione. Relazione che il Papa delinea lungo due versanti, che chiamiamo dell’affidamento e dello sguardo. Insieme fanno la "differenza" cristiana nel giudicare, decidere, agire. Il versante dell’affidamento anzitutto, volto a richiamare il primato di Dio e della grazia e quindi dello Spirito nella vita del cristiano e della Chiesa. Le sfide odierne dell’inculturazione e dell’evangelizzazione chiamano a una ri-identificazione e ri-disposizione della Chiesa, che il Papa, con singolare efficacia, formula come «Chiesa con le porte aperte», «Chiesa in uscita, per giungere alle periferie umane». Questa estroversione comporta una «conversione missionaria» delle coscienze, una «trasformazione missionaria della Chiesa». Comporta «una pastorale in chiave missionaria», la quale «esige di abbandonare il comodo criterio del "si è fatto sempre così"». «È necessario passare – chiede il Papa – da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria». Il compito è grande e arduo. È radicale: esige audacia, vigore, coraggio. Profezia e parresia insieme. Dinanzi a cui il cristiano non cede né alla temerarietà né alla timidezza. Perché egli non conta su di sé: sulle sue capacità per vantarsi o sulle sue debolezze per abbattersi. Conta sullo Spirito di Dio: «Non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento». Il Papa ha coniato un’espressione singolare per dire questo primato dello Spirito nell’opera missionaria: «Evangelizzatori con Spirito». E spiega: «Evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo». Dove l’atto primo non sta nel fare ma nel lasciarsi fare. E in questo affidamento trovare vigore e audacia. Francesco cita san Paolo: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26): «ci libera dal rimanere centrati in noi stessi», ci espone nella missione verso gli altri.Il secondo versante è quello dello sguardo: «Lo sguardo del discepolo missionario si nutre della luce dello Spirito Santo», il quale ci apre «gli occhi della fede». Occhi in grado di doppiare una lettura meramente ricognitiva e contabile della realtà e degli eventi con una lettura contemplativa e profonda, capace di «riconoscere ciò che lo Spirito Santo semina» in noi e intorno a noi. È un vedere positivo e cordiale, aperto alla speranza. Sguardo che non cede al «pessimismo», al «fatalismo» e alla «sfiducia». Sguardo conviviale. «Lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità». E in questa luce «intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania». Lo sguardo attento all’azione dello Spirito consente di apprezzare come opera sua e come risorse tutte le diversità. E vederle dirette all’unità composita e sinfonica della comunità. «Lo Spirito Santo è Colui che suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae. L’evangelizzazione riconosce gioiosamente queste molteplici ricchezze che lo Spirito genera nella Chiesa». Ma anche fuori , ad extra della Chiesa. Con sguardo rivolto ai cristiani non cattolici, Francesco incoraggia a «raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi». I semi dello Spirito tra i cristiani inducono a «imparare gli uni dagli altri». Allargando lo sguardo ai non cristiani, il Papa induce a vedere le manifestazioni del sacro tra loro (segni, riti, culti) come «canali che lo Spirito suscita per liberare i non cristiani dall’immanentismo ateo o da esperienze religiose meramente individuali». Dall’ambito religioso l’azione dello Spirito trabocca in ogni sfera dell’umano: «Lo stesso Spirito suscita in ogni luogo forme di saggezza pratica. Anche noi cristiani possiamo trarre profitto da tale ricchezza, che può aiutarci a vivere meglio le nostre peculiari convinzioni». La Pentecoste è il compimento della promessa: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Con la Pentecoste nasce la Chiesa, «la dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3), abitata dallo Spirito Santo. Dimora non circoscritta ma aperta. La Chiesa nasce cattolica, vale a dire universale, senza confini, globale. La cattolicità della Chiesa coincide con la «libera e generosa azione dello Spirito», il quale «opera come vuole, quando vuole e dove vuole». Di quest’opera incalcolabile e sempre nuova dello Spirito, la Chiesa è ministra e sacramento nel mondo.