Europa e sostenibilità. Una nuova imposta sui consumi per restituire dignità al lavoro
Ridefinire l’Iva per favorire l’innovazione e dire basta al «dumping sociale» Meccanismo Ue di riassicurazione dei disoccupati, emissioni zero entro il 2050, piani per le migrazioni e per gli investimenti pubblici. La neoeletta presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen ha volato davvero alto nel suo discorso al Parlamento europeo, partendo nel migliore dei modi possibili. Uno dei punti chiave del suo programma, quello del salario minimo, merita una riflessione e un approfondimento. Il problema numero uno del sistema economico nell’era della globalizzazione è quello del dumping sociale sul lavoro poco specializzato. La concorrenza globale spinge infatti le imprese a una gara al ribasso sui costi del lavoro a bassa qualifica. Di conseguenza, mentre le differenze medie di reddito pro capite tra Paesi si vanno riducendo, le diseguaglianze interne a ciascun Paese per competenza (tra lavoratori qualificati e no) aumentano alimentando diseguaglianze e conflitti sociali. Semplificando all’estremo, nascono società dove un terzo della forza lavoro è rappresentato da lavoratori altamente specializzati che si difendono da soli, sono integrati e cosmopoliti e due terzi rappresentati da lavoratori autonomi che combattono per sopravvivere, lavoratori a bassa qualifica sempre a rischio di esubero, lavoratori poveri poco specializzati con lavori precari e a tempo limitato. Non c’è bisogno di spiegare che nascono da qui i terremoti sociali e politici dei nostri tempi.
Paradossalmente la concorrenza al ribasso sul costo del lavoro non danneggia solo i lavoratori dei Paesi ad alto reddito da cui vengono delocalizzate le produzioni di minor qualità verso Paesi poveri o faticosamente emergenti, ma anche in moltissimi casi i lavoratori poco specializzati degli stessi Paesi di delocalizzazione. È stato sottolineato su 'Avvenire' in un reportage di Paolo Maria Alfieri il 5 aprile 2019 ( tinyurl.com/y2ekxaxb ), e di recente da Federico Fubini sul 'Corriere della sera', come nell’Est Europa, che dovrebbe beneficiare della globalizzazione delle delocalizzazioni, la competizione creata da società capogruppo in settori come quello automobilistico nei Paesi ad alto reddito, e scaricata su produttori che realizzano parte del prodotto, tiene i salari molto bassi in quelle aree, spingendo i governi locali a competere per attrarre la produzione con sgravi fiscali per gli insediamenti industriali che poi vengono recuperati con aumenti delle imposte sui consumi. Il paradosso e la beffa per i lavoratori poco qualificati di questi Stati è quello di vedere crescere Pil e produzione mentre allo stesso tempo il potere d’acquisto non aumenta per via della pressione al ribasso sui salari e l’aumento sul costo della vita. E questo aiuta a capire perché rabbia, populismo e nazionalismo crescono anche in Paesi con una crescita del Pil sostenuta come quelli dell’Est Europa.
La questione del lavoro a bassa qualifica e basso reddito è dunque una questione chiave per il futuro dell’Europa ed è difficile da risolvere. Mentre la transizione ecologica è diventata un fattore competitivo per molte imprese che sanno che innovare in settori come la mobilità sostenibile o l’economia circolare vuol dire anticipare le prossime dinamiche della regolamentazione e dei mercati, la dignità del lavoro a bassa qualifica non è e non diventerà un fattore competitivo. Puntare alla qualità e alle competenze è un imperativo ovvio ma non basta e la politica è tale se si occupa anche dei più deboli. Tutti i tentativi di risolvere la situazione realizzati in un solo paese alzando per legge il costo e le tutele del lavoro rischiano di essere 'non a prova di delocalizzazione', inutili o persino controproducenti perché finiscono per alzare il differenziale di costo delle nostre imprese con i competitori esteri. E tendono dunque a produrre delocalizzazione, passaggio in nero o, laddove il potere contrattuale del datore di lavoro è molto forte, illegalità come quella di contratti per meno ore rispetto a quelle di lavoro effettivo o restituzione in nero da parte del lavoratore di parte del salario.
La via giusta (a prova di globalizzazione e dunque senza effetti controproducenti per i produttori nazionali) è quella di lavorare sul fronte delle imposte sui consumi (che colpiscono egualmente prodotti nazionali o esteri venduti nel nostro paese) con delle ecotasse del tipo iniziato a realizzare in materia di sostenibilità ambientale. In Francia e poi in Italia con le ultime leggi finanziarie chi usa veicoli con motori più inquinanti tende ad essere penalizzato fiscalmente rispetto a chi usa veicoli meno inquinanti. Nel caso della dignità del lavoro si tratterebbe di definire una soglia condizionale a ciascun paese e proporzionale al costo della vita al di sotto del quale si parlerebbe di dumping sociale. Le imposte sui consumi dovrebbero poi penalizzare le filiere a bassa dignità del lavoro. Una riforma dell’IVA in questa direzione avrebbe il merito di dare un segnale chiaro di politica industriale premiando produttori e innovazione in direzione della sostenibilità sociale ed ambientale. E non sarebbe percepita come segnale ostile da parte di altri paesi perché si applicherebbe in egual modo a filiere di prodotti nazionali o esteri, diversamente dai dazi classici o anche dai dazi antidumping dell’Ue.
L’elemento più complesso dell’operazione è senz’altro quello di definire l’asticella al di sotto della quale parliamo di dumping sociale e scatta la penalizzazione fiscale. Compito difficile ma non impossibile perché elementi di riferimento come soglie di povertà e salari mediani nei diversi paesi e settori sono noti e statisticamente calcolabili. E il mercato delle società che forniscono informazioni per la valutazione del rating di dignità del lavoro ( Vigeo, Sustainalytics, ecc.) è fiorente perché la domanda per questo servizio arriva oggi da tutti i maggiori fondi d’investimento che vogliono sempre più proteggersi dal rischio di bassa reputazione sociale ed ambientale delle imprese in cui investono. Il dumping sociale è un 'male' così come il fumo. Tassarlo aiuta a ridurne gli effetti negativi sulla società.
Sebbene una politica di questo tipo potrebbe essere avviata anche solamente in Italia è inutile dire che un’iniziativa del genere presa a livello europeo dalla nuova commissaria avrebbe un peso ed una forza molto maggiore. Quanto a noi, a Settembre il governo è chiamato a decidere se far scattare o meno le clausole di salvaguardia Iva e a contribuire alla riforma dell’Iva a livello europeo. Due grandi occasioni per costruire l’unica soluzione possibile per la tutela della dignità del lavoro, la partita più grande da tutti punti di vista (umano, sociale, politico ed economico) che l’umanità, l’Unione Europea e il nostro paese si giocano nei prossimi anni.