Opinioni

Il direttore risponde. «Una giornata di grazia, ma non perfetta» Ammirabile quel popolo che sa l’essenziale

Marco Tarquinio mercoledì 30 aprile 2014
Caro direttore,
 
domenica ho partecipato con il mio oratorio alla canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII. I sentimenti sono tanti: Giovanni Paolo II è stato il primo Papa che ho visto e che per primo ho visto andarsene; avevo quattordici anni e ricordo benissimo quei giorni che, per chi come me non aveva mai visto morire un Papa, sono stati impressionanti. Andai fino a Roma per vederlo e salutarlo un’ultima volta. Giovanni XXIII non l’ho ovviamente potuto conoscere in modo diretto, ma attraverso il ricordo delle mie nonne e dei miei genitori. Stare lì in piazza, domenica, è stata un’occasione per vedere la Chiesa come essa è veramente; la fatica di una notte in piedi è stata tanta e la scarsa organizzazione non ha aiutato. I volontari della Protezione civile non sapevano cosa dovevano fare, per una serata intera all’ingresso di via della Conciliazione non c’erano forze dell’ordine a dare una mano per gestire la folla. Quando sono stati aperti i cancelli per entrare abbiamo avuto seriamente paura, ammassati come eravamo, che qualcuno potesse rimanere schiacciato (vicino a noi c’era una signora di ottantasette anni). Ed è ovvio: siamo cristiani ma anche uomini, per cui il nervosismo si avvertiva. Lunedì mi ha dato fastidio rendermi conto che per i mass media tutto è stato organizzato per il meglio e che il Comune di Roma, la Protezione civile e le forze dell’ordine avessero il polso della situazione. Probabilmente possiamo ringraziare i Papi santi se non è successo nulla di grave. I sentimenti dunque sono molti, da un lato la gioia e la gratitudine per questa giornata storica, che però non può nascondere il fatto che questi eventi vadano gestiti al meglio e che la giornata di domenica sia stata, in questo senso e almeno in parte, un’occasione sprecata. Mi scusi se ho scritto alla rinfusa e se forse il mio pensiero non fila troppo, ma non capisco perché si deve dire che tutto è andato bene perché bisogna per forza dirlo o per fare bella figura. Certamente domenica è stata una giornata di grazia, anche perché mi ha reso consapevole ancora una volta che la Chiesa non vuole essere una comunità di perfetti, ma di peccatori che hanno bisogno di sentire che oltre le piccole e grandi miserie umane c’è lo sguardo di Dio che vede il cuore dell’uomo e che ci può donare una vita diversa basata sull’amore vicendevole.
 
Matteo Minetti, Bannio Anzino (Vb)
 
Gentile direttore, sono un giovane di 18 anni e domenica 27 aprile ho avuto la fortuna di partecipare alla canonizzazione dei due Papi. È stata per me un’esperienza molto significativa, ma purtroppo non posso evitare di fare notare delle gravi carenze organizzative, raccontando la vicenda che il mio gruppo, composto da circa 70 persone dai 14 anni in su, ha vissuto. I primi disguidi sono iniziati sabato quando, come già si sapeva, è iniziato lo sgombero di tutta piazza San Pietro e di via della Conciliazione, per ragioni di sicurezza: letteralmente "scacciati" dalle forze preposte dalla piazza e dalla via, senza un minimo di pre-organizzazione e spesso, purtroppo, anche con maleducazione. Fin qui, comunque, problemi comprensibili per una manifestazione di questa portata. Ci siamo fermati nei pressi dell’area e preparati per riposare fino alle 4, orario di riapertura annunciata degli ingressi. Già intorno all’1, invece, le transenne sono state alzate senza preavviso. Per sei ore intere, procedendo di pochi metri ogni minuto, abbiamo percorso l’intera Via della Conciliazione. Vari i malori e volontari della Croce Rossa arrivati per miracolo perché non c’era un solo punto di soccorso stabile lungo la via. Giunti molto stanchi nella parte terminale della Piazza e abbiamo deciso di stabilirci di fronte a un maxi-schermo che, seppur molto lontano, ci avrebbe consentito una partecipazione viva ed attiva alla celebrazione. Ci hanno allontanti di nuovo, dicendo che si trattava di un’area riservata a persone disabili. Spazio non segnalato né tantomeno recintato. Perché? Nessuno ha saputo rispondere. Dopo solo poche decine di metri, ci è stata calata davanti una nuova transenna che ci ha bloccato sotto la pressione di una folla in continuo aumento. A quel punto, con anziani e ragazzi che si sentivano male, abbiamo chiesto alle autorità di sicurezza e Protezione civile di lasciarci almeno andare via, poiché la situazione era diventata insostenibile. Non si fidavano, ma alla fine ci hanno lasciato abbandonare l’area tre alla volta e ci hanno allontanato bruscamente anche dalle aree confinanti con la piazza, per quanto semivuote. Ci siamo ritrovati, così, dopo quasi tre giorni di attesa e fatica, a seguire la celebrazione in uno schermo in una via vicina, senza nemmeno avere la possibilità di vedere il Papa al termine della funzione. L’obiettivo del nostro pellegrinaggio non era quello di essere in prima fila né tantomeno di strigere la mano al Papa, e l’esperienza è stata, alla fine, comunque positiva, ma l’essere stati costretti, senza colpe, a seguire dopo tanti sacrifici la celebrazione in una via secondaria lascia l’amaro in bocca.
Angelo Moratti Non siete stati i soli, cari amici, a scrivermi di questo. E ciò che mi raccontate non è confuso. È vero e, pur nell’amarezza, conserva e offre belle tracce della straordinaria esperienza fatta. Certo, l’impressionante pellegrinaggio a Roma di tante persone per la canonizzazione di due Papi davvero molto amati è stato anche un complicato evento “organizzativo”. E non tutto è stato perfetto, ma tutto – alla fine – è andato bene. Proprio come in una lunga serie di occasioni analoghe. C’è da annotarlo senza enfasi e senza retorica. Qualcuno invece si pavoneggia un po’ troppo? Problema suo. Noi sappiamo che questo piccolo grande miracolo civile dentro fatti di immenso significato spirituale accade regolarmente, nonostante piccole e meno piccole sfasature di una “macchina” comunque generosa, perché a vivere certe memorabili giornate attorno al successore di Pietro c’è un popolo vero, un popolo buono. Un popolo cristiano che sa come stare insieme e, comunque, sa che cosa è essenziale e a Chi bisogna guardare.