Le proposte di modifica presentate al disegno di legge sulla sicurezza, in tema di immigrazione, destano seria preoccupazione e rischiano di avviare una spirale di restrizioni in contrasto con la Costituzione. L'ambiguo avallo che si vuole dare alla partecipazione dei cittadini alla tutela e sicurezza del territorio (legittimando "associazioni di cittadini" per la sorveglianza) può provocare lo spostamento di un caposaldo storico dello Stato di diritto, per il quale sicurezza e uso degli strumenti coercitivi appartengono allo Stato non ai privati, o a gruppi di persone. I pericoli cui si va incontro avviandosi su questa strada sono diversi. I responsabili dell'ordine pubblico vedono messa in discussione la propria autorità, mentre si chiede loro una difficile valutazione di iniziative private che possono sfuggire ad ogni controllo. Ai cittadini si lancia un messaggio distorto, perché si fa intravedere una facoltà di intervento autonomo rispetto agli organi dello Stato, e far maturare la convinzione che è possibile farsi giustizia da sé di fronte ai fatti o eventi delittuosi. Infine, un governo che vede nella tutela dell'ordine pubblico un punto d'onore del proprio programma quasi riconosce in questo modo che lo Stato non è in grado di assolvere un suo compito primario. Altra sconcertante proposta (di riforma normativa, o da inserire in una raccomandazione) riguarda l'interpello della cittadinanza per autorizzare la dislocazione di edifici, o luoghi, di culto di confessioni che non abbiano stipulato una Intesa con lo Stato. È il caso di ribadire che la libertà di culto, e la disponibilità dei mezzi per esercitarla, è tra le libertà fondamentali della Costituzione, e i diritti umani garantiti dal diritto internazionale. È previsto invece l'intervento degli enti locali per accertare discrezionalmente che i responsabili confessionali rispettino le norme edilizie (di destinazione e agibilità), e valutare quali siano le aree più idonee per gli edifici destinati al culto. Si tratta di una discrezionalità tecnica, utile a compiere scelte positive per la confessione e per i cittadini, che non può precludere il diritto all'esercizio del culto. Promuovere pronunce referendarie in questa materia, oltre ad essere apertamente incostituzionale, può rivelarsi dannoso per più ragioni. I diritti di libertà non si sottopongono a referendum perché sono alla base dei principi fondamentali del nostro ordinamento, e perché i referendum aprirebbero conflitti confessionali tra i cittadini. Più volte la Corte costituzionale ha ribadito che l'Intesa con lo Stato non può mai avallare discriminazioni tra le religioni, tanto meno per ciò che riguarda i diritti di libertà anche perché tutte le confessioni religiose sono, per l'articolo 8 della Costituzione, egualmente libere davanti alla legge. Se queste sono le prime valutazioni che riguardano le proposte di cui si discute in questi giorni in Parlamento, non va trascurata una considerazione più generale circa l'orizzonte complessivo nel quale si va situando il tema dell'immigrazione, soprattutto nei più recenti provvedimenti. Si ha l'impressione che si stia consolidando un orizzonte culturale assai limitato, e che la problematica complessiva dell'immigrazione venga vista sotto l'esclusiva prospettiva della sicurezza: anche l'idea di procedere ad una sorta di schedatura degli immigrati senza dimora si presenta potenzialmente lesiva dei diritti individuali, oltre ad essere del tutto inutile. In assenza di un progetto politico di respiro che riporti al centro la questione dell'integrazione degli immigrati, è necessario ripartire da principi e valori che caratterizzano la nostra identità civile. Gli immigrati non sono gente da tenere a bada, ma persone con diritti che vanno riconosciuti e garantiti, e con doveri di cui si deve chiedere l'assolvimento. Se si perde di vista questo presupposto, cristiano e culturale prima che giuridico, o si dimentica che le leggi nazionali e quelle internazionali si fondano sul rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali che spettano a chiunque, si intraprende una strada sbagliata, che può provocare disagio e proteste, che può giungere ad un risultato opposto a quello invocato dai teorici della securitate. C'è tempo e modo per rimediare ad errori come quelli di oggi, ma non si deve dimenticare che già su altre questioni il governo ha potuto sperimentare i danni che derivano da scelte improvvisate, settoriali, non condivise. L'immigrazione è uno dei grandi temi sociali della nostra epoca, e presuppone che si sappia guardare lontano, con una capacità politica di governo vero delle situazioni.