La coppia più improbabile e meno affiatata della politica europea ha esordito ieri sera a Berlino in uno scenario sempre più cupo. È stata una visita pressoché obbligata quella del neo-presidente francese alla "Cancelliera" tedesca, in omaggio alla tradizione e a dispetto della contrapposizione plateale tra il socialista François Hollande, il leader vittorioso in casa propria che intende «aprire una nuova strada in Europa», e la democristiana Angela Merkel, indebolita dalle sconfitte regionali del suo partito ma decisa a tirar dritto sulla via del rigore. «Al di là delle nostre differenze vogliamo lavorare assieme per il bene dell’Europa», è stato il messaggio rassicurante dei due leader, che però hanno rinviato la discussione più seria e dettagliata dei problemi al vertice informale della Ue, il prossimo 23 maggio. Insomma, le differenze rimangono. Anche se la cooperazione tra Parigi e Berlino è sempre stata essenziale per l’Europa, a prescindere dai diversi orientamenti politici dei protagonisti. Anzi il motore franco-tedesco ha dato il massimo delle prestazioni quando alla guida c’erano due personalità opposte per temperamento, oltre che per ideologia, come Kohl e Mitterrand. Il primo non voleva rinunciare al marco, il secondo temeva una Germania unita. Trovarono l’accordo, e il loro nome resta legato ai due più grandi eventi della recente storia europea: la riunificazione tedesca del 1990 e il Trattato di Maastricht del 1992 che mise le basi per la moneta unica. Prima ancora di avere l’idea di un’Europa forte, Kohl e Mitterrand avevano una forte idea d’Europa. L’immagine dei due statisti che si tengono per mano davanti all’ossario di Verdun, teatro della sanguinosa battaglia tra francesi e tedeschi al culmine della Grande Guerra, è entrata nei libri di storia come uno dei simboli più commoventi della riconciliazione fra i popoli. In questa prospettiva l’Unione Europea è sinonimo di pace e democrazia e conseguentemente diventa un’impresa comune, una fatica condivisa all’insegna di uno sviluppo solidale e di uno slancio verso il futuro. Oggi non è un caso che nell’Europa ridotta a pura contabilità degli egoismi nazionali la padrona assoluta appaia e sia Merkel, la cui politica miope e auto-referenziale minaccia di condurci alla catastrofe. La crisi greca è diventata una tragedia la cui colpa ricade prima di tutto sui politici di Atene, avvinghiati in una lotta furibonda e suicida sul ciglio dell’abisso. Ma è grande la responsabilità di Merkel che all’inizio s’era opposta al salvataggio della Grecia per poi cedere a malincuore a una serie di aiuti inadeguati, tardivi e alla fine inutili. Sia chiaro: non è il richiamo al rigore che è sbagliato ma il suo ottuso unilateralismo. Si ha l’impressione che per l’ex ricercatrice di fisica la politica non sia altro che un insieme di formule da rispettare e non abbia invece a che fare con la vita delle persone. Del resto cosa ci si deve aspettare dalla ragazza dell’Est che, per sua stessa ammissione, la sera del 9 novembre 1989 quando tutti i suoi concittadini di Berlino Est uscirono a festeggiare la caduta del Muro, se ne rimase a casa a guardare la televisione, perché «il giorno dopo dovevo alzarmi presto per andare al lavoro»? Il suo mondo crollava, ma lei pensava a timbrare il cartellino... È questa la donna che oggi comanda in Europa. Dobbiamo allora sperare in Hollande? Sarà questo rotondetto ex funzionario di partito che riuscirà a smussare le spigolosità di Frau Merkel? Hollande è diventato l’alfiere della crescita in Europa (e speriamo che si fermi a questo, senza diventare ad altro proposito un
alter Zapatero), un tema troppo a lungo accantonato. E questo è il suo merito. Ma se vuole passare alla storia come il Roosevelt d’Europa deve riempire di contenuti il suo vago
New Deal che al momento resta un libro dei sogni. Se Berlino ha pochi motivi per ridere, Parigi ne ha tanti per piangere, a cominciare dall’elevato debito pubblico e dalla perdita di competitività della sua economia. C’è il rischio che il motore franco-tedesco s’inceppi con la strana coppia al volante. Anche per questo l’Europa deve urgentemente ritrovarsi in una dimensione più corale per continuare a sperare nella salvezza. E l’Italia del governo Monti e di una politica tenuta a ritrovare se stessa e un decente tasso di credibilità deve fare a pieno titolo la propria parte.