Intelligenza artificiale. L'Ai Act dell'Unione europea è una cintura di sicurezza
Mercoledì il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva l’AI Act, un disegno di legge che aveva come relatore l’eurodeputato italiano Brando Benifei. Questo ultimo passaggio formale apre la strada all’entrata in vigore, nel corso dell’anno, delle prime importanti norme che regolano l’Intelligenza artificiale (IA) a livello mondiale. L’AI Act dovrebbe diventare legge ufficiale entro la metà del 2024, dopo l’approvazione da parte degli Stati membri dell'Ue, e le sue misure saranno introdotte gradualmente nell'arco di due anni.
Questa complessa e ricca norma è incentrata sulla sicurezza dei consumatori valutando i sistemi di IA in base al rischio che possono avere sui diritti dei cittadini: le applicazioni più rischiose sono soggette a maggiori controlli o a veri e propri divieti. La legge vieta alcuni usi specifici dell’IA come la polizia predittiva, il riconoscimento delle emozioni nelle scuole e nei luoghi di lavoro, i sistemi di punteggio sociale e il riconoscimento facciale a distanza da parte della polizia (in quest’ultimo caso esiste un’eccezione nella prevenzione dei crimini gravi). L’approvazione dell’AI Act non è soltanto un fatto storico ma un momento esemplare di un’Europa che vuole mettere al centro la dignità umana.
Come importanti autori hanno sottolineato, dobbiamo essere consapevoli che nell’Occidente ciò che era stato il suo centro, il suo fulcro, rischia di essere la sua periferia: è innegabile che la nostra parte di mondo sarebbe stata, ed è tuttora, impensabile senza la categoria di “persona”. Il valore e l’unicità dell’essere umano – la sua vita personale, appunto – vengono espressi con la formula “dignità umana”. Nei decenni recenti contro il concetto di dignità umana si sono levate voci che sostenevano come questa non sia altro che una formula vuota riempibile con qualsiasi contenuto filosofico e religioso, e perciò inutile. È innegabile che i concetti di persona e di dignità umana debbano moltissimo all’influsso esercitato dal Vangelo nella storia, ma storicamente non li si può far risalire soltanto al contributo culturale storico del cristianesimo, né la loro validità è legata al perdurante influsso di questo: la dignità, ad esempio, deve la sua forza all’essere riconducibile alla triade della filosofia classica, dell’etica cristiana e dell’umanesimo europeo in una maniera che non le semplifica in un’unica idea né esclude un loro reciproco influsso. L’idea della dignità umana allora è il punto focale su cui convergono i vari tentativi di auto-interpretazione filosofica dell’uomo: è eredità culturale comune del mondo moderno e appartiene perciò al nucleo di un ethos naturale tendente all’universalità, quale è stato elaborato dalla ragione storico-sociale dell’evo moderno.
L’idea della dignità umana e la sua traduzione nei diritti umani, che sono riconosciuti come preesistenti a qualsiasi entità statale e a qualsiasi ordinamento sociale, costituiscono e si presentano come un livello-soglia. La dignità umana è il livello al di là del quale la convivenza degli uomini non può più regredire, nemmeno in un’epoca post-moderna, perché è quel nucleo esperienziale duro, di natura politico-etica, che sta alla base, fonda e legittima moralmente le società democratiche e funge da discriminante rispetto alle forme totalitarie di Stato. La storia del Novecento con le sue pagine crude e sanguinose mostra come i diversi totalitarismi abbiano di fatto espresso il loro volto cruento eliminando tale idea dai fondamenti della coesistenza umana. L’idea della dignità umana, autoconsapevolezza primordiale dell’autocoscienza, è stata capace – ogniqualvolta passava da un’epoca all’altra – di liberarsi dei legami e delle motivazioni concrete che fino ad allora l’avevano contraddistinta, e di tradursi in una nuova costellazione intellettiva, entrando in essa. Siamo dunque grati a Benifei e agli altri eurodeputati per questo: l’approvazione dell’AI Act riafferma tale autoconsapevolezza mettendo al centro la persona e il suo valore in un’epoca in cui il confronto con la macchina chiede di riaffermare lo specifico del nostro essere umani. Infine, a chi afferma che l’attività di regolare qualcosa sia nemica dello sviluppo e del valore del mercato ricordiamo il senso di questa legge ricorrendo a una metafora.
Quando abbiamo sviluppato macchine più veloci degli uomini – le automobili – abbiamo scritto il Codice della strada non per limitare la libertà delle persone, o per uccidere il mercato dell’auto (anzi...), ma per evitare incidenti in cui la macchina producesse vittime umane. Guardrail, patenti e targhe sono serviti a renderci liberi di andare dove volevamo diminuendo rischi e pericoli. L’AI Act come dispositivo di un’Europa che mette al centro la persona e il suo valore è come il Codice della strada, una protezione di ciò che veramente vale: la vita e la libertà degli europei.