Scegliere un film da candidare all’Oscar è un po’ (con le dovute proporzioni) come inviare un ministro degli Esteri all’Onu. La designazione della pellicola che dovrà rappresentare il proprio Paese sul red carpet di Hollywood è in qualche modo una missione diplomatica delicata e dalla visibilità planetaria. Basti vedere l’effetto inebriante sul cinema italiano e sul nostro orgoglio nazionale sortito dalla vittoria di Paolo Sorrentino agli Oscar 2014 con “La grande bellezza”. L’Italia ora si affida al livornese Paolo Virzì e al suo “Capitale umano”. Non illudiamoci, la corsa verso la magica notte delle stelle del 22 febbraio prossimo è ancora lunga, e la cosiddetta “short list”, la lista ristretta delle nomination straniere, verrà annunciata il 15 gennaio. In mezzo, una battaglia corpo a corpo con decine di altri Paesi per convincere i membri dell’Academy. E ogni anno vien da chiedersi quale immagine di sé l’Italia decide di “rivendere” al mondo attraverso il cinema. La commissione istituita dall’Anica alla fine ha scelto un film sull’economia malata che ha ormai infettato ogni strato della nostra società. Una pellicola amara, graffiante, sostenuta da un cast di ottimi attori, che vede rispecchiato il vuoto morale dell’economia globale nelle vite private di un gruppo di borghesi brianzoli. Speculatori in doppiopetto, uomini indebitati disposti a tutto, donne altolocate insoddisfatte. E hai voglia a ripetere che il film è ispirato al romanzo dell’americano Stephen Amidon. Quella che si vede lì è l’Italia, e non certamente la migliore. Non che quella della “Grande bellezza” fosse meglio, in una Roma festaiola, decadente e splendidamente vuota. Ma Virzì è stato a un passo da farsi soffiare il posto dall’outsider Francesco Munzi, che con il suo “Anime nere” all’ultimo festival di Venezia aveva conquistato la stampa straniera. Una sorta di tragedia greca su una famiglia della ’ndrangheta, cupa, durissima e molto ben girata in un paesino dell’Aspromonte. Che nell’immaginario internazionale rischia, però, di venire omologata ai cliché su un’Italia mafiosa stile “Gomorra”, intesa come film e serie tv. Immagini reali, ma di un’Italia senza speranza. Quella speranza invece che vince nel terzo film che era in ballottaggio ma poi è stato scartato: “Le meraviglie” di Alice Rohrwacher, una delicata storia autobiografica di una famiglia legata ai valori semplici della terra che ha conquistato Cannes. Anche lì la crisi incombe, con una differenza: gli italiani reagiscono e ce la fanno. Come accadeva nei film di De Sica, che gli Oscar li vincevano.