Analisi. Un voto che stressa i partiti
Preoccupante calo di affluenza alle urne. Frammentazione 'sistemica' del quadro politico che impedisce, con poche eccezioni, l’emissione di verdetti definitivi sin dal primo turno. Partiti non più in grado di offrire ai candidati un valore aggiunto che faccia la differenza. Non fa eccezione nemmeno il partito anti-sistema per antonomasia, che anzi esce particolarmente malconcio da questo rilevante turno elettorale, che coinvolgeva ben 25 capoluoghi di provincia (di cui quattro capoluoghi di Regione) e oltre 9 milioni di elettori. Se si volesse commentare questo turno elettorale facendo ricorso all’umorismo caustico di cui il leader di M5S è maestro non mancherebbero certo appigli per farlo. Si potrebbe ironizzare ad esempio sulla vittoria a Guidonia Montecelio, magro bottino per un movimento che solo un anno fa riuscì ad aggiudicarsi di gran carriera la guida di Roma e Torino. O si potrebbe far ricorso agli 'alleggerimenti' che lo stesso capo fornisce, nel presentarsi alla cabina elettorale con il casco in testa, come nel presagio di colpi in arrivo dalle urne, o nell’andare addirittura al 2102 pur di accreditare nel raffronto un perdurante trend di crescita. Ma – umorismo a parte – ha ragione Beppe Grillo quando invita tutti a non dare per spacciato il suo movimento nelle aspirazioni di governo.
Tuttavia la botta c’è e non è possibile minimizzarla, lo pensano anche i militanti che affollano preoccupati il blog pentastellato. Il supporto del simbolo stavolta non è riuscito a trasformare in virtù il deficit di esperienza e la corsa in solitaria. Soprattutto bruciano per M5S le due sconfitte di Genova e Parma. Genova, la città del leader che aveva messo in campo tutto il suo peso carismatico per bocciare il responso delle 'Comunarie' che avevano promosso Marika Cassimatis, dando poi il pieno appoggio al nuovo designato a Luca Pirondini. Candidato alla fine più che doppiato dal centrodestra, ma sopravanzato di 15 punti anche dal pur deludente centrosinistra che a Genova rischia di perdere una roccaforte più duratura persino della 'rossa' Bologna, dove ci fu spazio per la parentesi Guazzaloca. Ancora più rilevante sul piano simbolico, e schiacciante nel suo esito, il dato di Parma, dove il ribelle Federico Pizzarotti (avanti solo di due punti sul candidato del centrosinistra) dovrà ancora sudarsela, ma ha già umiliato intanto il suo ex partito, fermo al 3%, condannandolo a non entrare nemmeno in Consiglio comunale. M5S, che non va oltre un magro 9% nel dato complessivo nazionale, scontando certamente la partenza a ostacoli delle giunte di Roma e Torino. Non è automatica la ripercussione sulle aspirazioni nazionali del Movimento (gli ultimi sondaggi lo collocano ancora testa a testa con il Pd) ma certo è un pesante campanello di allarme.
Ma se Atene piange Sparta non ride. La dice lunga il piccato rifiuto ad andare ospite a La7 da parte di Leoluca Orlando offeso per esser stato annunciato da Enrico Mentana come esponente «del Pd». Il risultato più eclatante del centrosinistra, la trionfale affermazione di Palermo vede il partito di Renzi recitare il ruolo del grande escluso dai festeggiamenti: rifiutato il simbolo sulle liste ora diventa sconveniente anche l’accostamento col candidato vincitore. Un episodio emblematico di come sia stato ridimensionato il peso specifico dei partiti. Se il centrosinistra raccoglie complessivamente un significativo 36,8%, nel dato nazionale l’apporto del partito guida è al di sotto della metà (16,6 per cento) e notevole è il contributo delle civiche. Numericamente resta la prima coalizione, ma il deficit di strategia e le divisioni fanno sì che (aggiudicatasi Palermo e Cuneo al primo turno) solo in 6 capoluoghi il centrosinistra parta in vanataggio in vista del secondo turno del 25 giugno. Mentre il centrodestra è in vantaggio in 13 casi. A Verona Pd addirittura fuori dal ballottaggio ad opera della candidata civica e centrista Patrizia Bisinella, compagna del sindaco uscente Flavio Tosi. Male il centrosinistra anche in Puglia dove il Pd, dilaniato dallo scontro interno che ha visto come protagonista il governatore pugliese Michele Emiliano, accede al ballottaggio in posizione di svantaggio sia a Lecce che a Taranto. Lo stesso accade anche a Catanzaro, dove pesa la divisione con i bersaniani. Ottimo risultato, invece, per il centrosinistra a L’Aquila, dove per il dopo-Cialente è in forte vantaggio Americo Di Benedetto. Complessivamente, includendo i piccoli centri, sono però 22 i sindaci già assegnati al centrosinistra, 8 al centrodestra.
Modello Liguria, invoca il governatore Giovanni Toti per il centrodestra. Ed è certamente Genova il dato più importante per il centrodestra. Ma pari pari come Palermo nel centrosinistra è un risultato che crea non pochi problemi al partito che si candida a essere la guida della coalizione, almeno nelle intenzioni di Silvio Berlusconi. Primo partito, infatti, nel robusto schieramento a sostegno del manager Marco Bucci (che arriva al ballottaggio da favorito con 5 punti di vantaggio) è la Lega, con il 13%, e seconda è la civica 'Vince Genova', ispirata dallo stesso Toti, con Forza Italia solo terza all’8. Il centrodestra raccoglie nel dato complessivo nazionale il 34,2%, 2,6 punti sotto il centrosinistra. Lega leggermente avanti a Forza Italia, ma i due partiti insieme, entrambi intorno al 7%, non fanno nemmeno la metà della coalizione, anch’essa presidiata in modo robusto da liste civiche o 'personali'. Eclatante il dato di Padova dove l’uscente, il leghista Bitonci, è vicino alla riconferma (essendo oltre il 40 per cento), ma la prima lista a suo sostegno è quella che reca il suo stesso cognome, con il 24%.
Ma, dati alla mano un altro risultato appare evidente, in proiezione della legge elettorale e del voto politico che verrà. Quand’anche le due coalizioni (divise in Parlamento) fossero in grado di riconquistare l’unità che mantengono nelle competizioni locali sarebbero entrambe ben lontane dal poter ambire (con la mera fotografia dell’esistente che il proporzionale realizza) all’autosufficienza, e anche in caso di riesumazione dell’Italicum i poli si mostrano tutti lontani dall’obiettivo del 40% che farebbe scattare il premio di governabilità. Altro che neo-bipolarsmo. E anche Angelino Alfano non si dà per vinto: «Siamo presenti da Nord al Sud - dice - in alcuni punti anche oltre il 10%». Un brutto campanello d’allarme che conferma i timori del Quirinale per la governabilità e l’omogeneità del sistema elettorale che si sta, finora invano, cercando di individuare. Si aggiunge, intanto, un pericoloso ritorno alla disaffezione dal voto, con il 60 per cento di affluenza che fa registrare la perdita di 8 punti secchi nel confronto con l’ultimo dato omologo. Disaffezione che, nelle analisi dei flussi elettorali condotte dall’Istituto Cattaneo, riguarderebbe soprattutto M5S e Pd. I due partiti maggiori che escono più malconci da questo turno elettorale.