Il direttore risponde. Un vero caso di discriminazione
Caro direttore,
tra i poveri naufraghi di questo triste tempo italiano, vorrei si mettesse pure mia figlia, gettata a mare da un mondo cinico e spietato. Mia figlia lavorava per una ditta importante e – così sembrava – seria. Lodi e conferme per un ruolo ricoperto in modo affidabile e da tutti concordemente ammirato. A un certo momento, mia figlia onestamente comunica che si sposa. La ditta decide di chiudere il contratto pochi giorni prima del matrimonio, per non pagarle la licenza matrimoniale. Poi invia un vaso elegante, in regalo, e una promessa: «Ti riassumiamo dopo il viaggio di nozze». Poi la fatidica domanda: «Mica farai un figlio!?!». Felicità, baci, invitati, sorrisi. Torna al lavoro, ed ecco… il naufragio. Comincia con la scoperta che si tratta soltanto di un contratto part time, tramite agenzia. E continua con la notizia che due persone la sostituiranno. A dicembre, scadrà il contratto. Punto. È il segnale chiaro della fine: matrimonio e figli sono un peso per la strategia aziendale. Ecco come in Italia si favoriscono i giovani, ecco come lo Stato aiuta chi si sposa e chi vuol fare figli. Anni di fatiche, laurea e studi, domande e speranze, dedizione e responsabilità. A mare, a mare. Ho pianto per mia figlia affogata da un sistema crudele.
Lettera firmata, Vicenza