Opinioni

La terribile ferita che sanguina. Un segno una speranza

Luigi Geninazzi venerdì 21 gennaio 2011
Dopo tanti appelli e sollecitazioni l’Europa finalmente batte un colpo. Nella riunione plenaria di ieri il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in difesa dei cristiani e della libertà religiosa nel mondo. È significativo che l’abbia fatto a larghissima maggioranza, accogliendo la proposta avanzata in modo bipartisan dai popolari e dai socialisti europei su iniziativa degli italiani Mario Mauro (Pdl) e di Gianni Pittella (Pd).Non è la prima volta che l’assemblea di Strasburgo alza la sua voce in difesa dei cristiani perseguitati. Era già successo nel 2007, ma in quell’occasione ci si era limitati alla condanna di alcuni episodi di violenza avvenuti nelle settimane precedenti in Iraq e in Pakistan. La risoluzione votata ieri fa seguito agli eccidi compiuti ad inizio anno in Nigeria ed Egitto, ma allarga lo sguardo, riconoscendo l’esistenza di una strategia anti-cristiana a livello globale, un’emergenza che non può più essere sottaciuta e che viene documentata in base ai dati forniti non solo dalle istituzioni internazionali come l’Onu e l’Osce ma, per la prima volta, anche da un’organizzazione religiosa come "Aiuto alla Chiesa che soffre". La novità politica più rilevante contenuta nella risoluzione di Strasburgo è la richiesta che la Ue vincoli i propri accordi di cooperazione con i Paesi extra-europei al rispetto della libertà religiosa e alla protezione delle comunità cristiane. D’ora in avanti l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, la baronessa Catherine Ashton, non avrà più alibi e non potrà giustificare timidezze, avendo ricevuto un chiaro mandato per intervenire in difesa dei cristiani minacciati e vessati in tante parti del mondo.Non sarà facile. Ancor prima che venisse votata la risoluzione dell’Europarlamento, i leader dei Paesi arabi avevano opposto il loro fermo rifiuto ai «tentativi d’ingerenze straniere col pretesto di proteggere le minoranze cristiane in Medio Oriente». Ma chiedere il rispetto del fondamentale diritto alla libertà religiosa e la possibilità d’esercitarlo senza restrizioni e minacce non è un’assurda interferenza. Tutt’al più, se ci è permesso riprendere l’espressione usata un tempo da Giovanni Paolo II, sarebbe una doverosa «ingerenza umanitaria». Non si tratta certo d’inviare eserciti o di proclamare blocchi economici. Più semplicemente occorre vincolare la sottoscrizione di accordi bilaterali con Paesi terzi al rispetto e alla difesa delle minoranze religiose in quelle società.Non ci nascondiamo che la questione diventa ancor più complessa quando si ha a che fare con i Paesi a maggioranza islamica. Decidendo di sospendere il dialogo con il Vaticano a seguito di quella che viene definita come «un’inaccettabile intromissione» di Benedetto XVI all’indomani della strage dei 31 dicembre ad Alessandria d’Egitto, il Consiglio dell’università al-Zahar del Cairo, (la più alta autorità religiosa dell’islam sunnita), ha dimostrato di fraintendere clamorosamente l’intervento del Pontefice romano che nel chiedere protezione per la comunità copta si è fatto portavoce dell’intera cristianità e non solo della Chiesa cattolica. Il Papa non ha mai chiesto alcun trattamento privilegiato per «i suoi», ma garanzie di libertà e sicurezza per tutti, anche per i musulmani. È una mano tesa, non un pugno chiuso. Gli autorevoli intellettuali di al-Zahar dovrebbero essere i primi a capirlo e a spiegarlo alla umma, la comunità dei credenti islamici. Osiamo sperare da tempo in una fatwa, un decreto contro gli assassinii di cristiani indifesi, un atto solenne e in assonanza con gli appelli del Papa a tutti coloro che credono in Dio a non uccidere mai in Suo nome e a seguire le vie della pace. E continuiano a sperare. La terribile ferita delle persecuzioni religiose sanguina sotto gli occhi di tutti.