È un uomo sulla quarantina, elegante e triste. Mi accorgo che desidera parlarmi e lo incoraggio, salutandolo per primo. «Posso?», chiede gentilmente mettendosi al mio fianco. «Le dico subito, reverendo, che sono ateo. La fede non esercita alcun fascino su di me. Vorrei chiederle un consiglio per un dramma che mi porto dentro e di cui non riesco a liberarmi. Si tratta di un aborto, effettuato dalla mia ragazza con il mio consenso, quindici anni fa. Ci sembrò, allora, l’unica cosa logica da fare per una gravidanza non voluta. A dire il vero non ci pesò granché. In seguito ci lasciammo. Oggi sono padre di due splendidi bambini avuti dalla mia attuale moglie. Il pensiero di quel bimbo che non facemmo nascere, però, mi perseguita. Come un fantasma si presenta ogniqualvolta accarezzo e gioco con i miei piccini. Cosa posso fare per quel figlio che non volemmo accogliere?».Sono preso alla sprovvista. Non pensavo che questo distinto signore volesse parlarmi di un vecchio aborto procurato. Passeggiando, ci dirigiamo verso la campagna. Non capisco perché si rivolga a un prete un uomo che dice di non credere. L’onestà mi obbliga a non fare sconti, a costo di essere spietato; e la carità mi chiede di aiutarlo a ritrovare la serenità perduta.«Non le nascondo che mi trova impreparato – spiego –. Se fosse un credente le direi che Dio conosce il suo dolore e le offre il perdono; che Gesù ha promesso agli uomini – anche al suo bambino – la vita eterna; che un giorno lo ritroverà nel cielo dove fu accolto nel momento del rifiuto. Le direi anche che la persona con cui parla stamattina, un semplice prete, porta in sé un potere immenso, smisurato, incredibile, che potrebbe darle tanta pace. Parlo della confessione: un balsamo potentissimo che lenisce le ferite più nascoste e dona la certezza che Dio ha perdonato il peccato commesso. Potrei dirle ancora tante cose. Lei, però, non crede, e io non so trovare parole di conforto senza rischiare di essere banale. Il suo cuore lacerato è un cuore nobile se ancora piange per un aborto di tanti anni fa. Le potrei consigliare di fare volontariato a favore della vita nascente, o impegnarsi nelle adozioni a distanza per aiutare i piccoli africani a non emigrare. Potrei anche invitarla a donare qualche ora della sua giornata ai bambini più sfortunati della mia parrocchia. Codesti rimedi le darebbero un po’ di sollievo. Ma lei mi chiede cosa si può fare per quel bambino abortito, per quel figlio trascinato via senza il suo consenso. Lei vuol mettere a tacere la vocina fastidiosa che la inquieta quando accarezza i suoi figlioli, e questa impresa è ardua. Lungi da me il tentativo di infierire sul suo dolore, ma l’unica cosa certa è che il suo bambino andò via per sempre, quella mattina di tanti anni fa. Via senza lasciar tracce. Sotto gli occhi e con il consenso di chi lo aveva chiamato al mondo...».Passeggiamo ancora senza dirci niente. Un ateo e un prete. Un uomo che crede che sia vuoto il cielo, e un altro che ha scommesso la sua vita su Colui che lo abita. Un ateo che sente il bisogno di raccontare la sua angoscia a un prete. Una storia tenuta in cuore e mai raccontata prima. Un prete che raccoglie e fa suo il grido di questo sconosciuto. Due uomini che si incontrano per caso – ma esiste il caso? – e sentono di essere fratelli. Quante vittorie sbandierate sul fronte dell’aborto! Quanti inni alla libertà, pagata con il sangue dei più deboli e indifesi. Chi trovò costui a consigliarlo allora? Chi si è fatto carico del tormento di questo padre allora mancato? Intervenire su una donna per eliminare il figlio che non vuole ormai è tanto facile e banale. Più difficile è ritrovare, poi, la serenità perduta.Ce lo insegna quest’uomo che non crede, al di sopra quindi di ogni sospetto. Quindici anni non son bastati per far tacere la voce di quel bambino che non vide il sole. Un bambino che ancora non vuol morire.