Opinioni

La Messa per la poetessa Antonia Pozzi. Una prece per tutti (altro che polemiche)

Davide Rondoni mercoledì 18 aprile 2012
​Ci vuole della voglia, come si dice dalle mie parti per indicare un impegno spropositato riversato su una cosa. Ad esempio, ci vuole della voglia a polemizzare sulle Messe, sui funerali... Come se non si fosse tutti noi poveracci che in fondo un funerale, di qualunque genere, o una preghiera o qualcosa di simile speriamo di meritarcela e che qualcuno la faccia sul nostro andar via di qui, senza che nessuno stia lì a piantar grane... Invece in quest’epoca malmostosa d’Italia c’è chi ha voglia di polemizzare e ri-polemizzare pure su Messe e funerali. L’occasione, dopo il caso di Dalla, sarebbe data – a leggere Il Foglio, Il Fatto e il Giornale – da una Messa che per il centenario della nascita di Antonia Pozzi, giovane di talento poetico morta suicida, ha celebrato il cardinale Ravasi. Da punti di vista diversi i tre vogliosi polemisti accusano Ravasi – uno che riuscirebbe pure a farsi amare dal suo boia, tanto è amabile – e con lui la Chiesa di usare due pesi e due misure. Veneziani sul Giornale e Guarini sul Foglio vedono il rischio di creare delle differenze tra i suicidi. Ma la differenza non la fa Ravasi che celebra la Messa. La fanno coloro che chiedono o non chiedono una Messa in memoria per un morto. Messa che (suicida o no) si può sempre fare. Politi invece schiuma la sua rabbia per una Chiesa sempre più fossile (peccato che i giovani seguono più la Chiesa che i miti di Politi) e spara: per Welby neanche il funerale, per la Pozzi addirittura la Messa. Ma come, mi domando io che teologo non sono e anche un po’ anticlericale poeta e romagnolo, ma una volta gli anticattolici erano gente di cervello fino, che sapeva far distinzioni, anzi che accusava proprio i cattolici di cervello all’ingrosso... E invece questi – presi dal povero orgasmo di polemizzare – vanno giù grezzi. Intanto, perché se paragonano Welby e la Pozzi significa che intendono pure il primo come suicida, e dunque vanno a ramengo tutte le loro supposte differenze tra eutanasia e suicidio. In secondo luogo, perché volendo parlare (per quanto male) di un soggetto come la Chiesa dovrebbero sapere la differenza tra funerale e Messa di suffragio o in memoria. Infine, anche un bambino comprende la differenza tra un atto compiuto in modo pubblico, dichiarato, con tanto di conferenze stampa e di campagna sponsorizzata da politici e media, e il gesto solitario e disperato di una ragazza da sola in un campo. Nel primo, c’è evidentemente, coscientemente – e rispettabilmente, aggiungo – un’azione polemica "contro" quel che la Chiesa afferma sul valore della vita. E contro quel che tanti altri malati nella stessa condizione stavano e stanno testimoniando. Nel secondo caso, si ha un offuscamento disperato della voglia di vivere. Forse momentaneo e, comunque, non teoricamente affermato come valore. Entrambi i gesti, è naturale, meritano rispetto e comprensione. Ma la Chiesa non usa due pesi e due misure, come vorrebbero i suoi ansimanti detrattori. Ne usa miliardi. Una misura diversa per ciascuno di noi, accogliendoci e trattandoci ciascuno come persona diversa dalle altre, unica e irripetibile. Arrabbiarsi perché un prete dice una Messa in memoria per l’anima della Pozzi – che all’esistenza di tale anima credeva e che amava Dio – è sinceramente patetico. Se tanto ci tiene, Politi, la faccia dire per l’anima di Welby. Può farlo. È permesso, anzi consigliato, dalla Chiesa. Perché non lo fa?