Leopoli. Un pianoforte che suona è strumento-di-resistenza
Leopoli, nella sala d’attesa della stazione piena di persone in fuga, ognuna col suo trolley, c’è anche un pianoforte. Un ragazzo col piumino chiuso dalla cerniera e il cappuccio calato vi si siede davanti e comincia a suonare. Non guarda nessuno. Ha la sua musica in testa, ascolta e fa ascoltare solo quella. Ma due viaggiatori in partenza, in fila al suo fianco, si voltano e lo guardano. Pensano: 'Ma dunque c’è ancora spazio per la musica? Tutti scappiamo, e qualcuno suona?'. Me lo chiedo anch’io. E mi vengono in mente due risposte: una chiama in causa Lenin, l’altra Adorno.
La frase di Lenin dice: «Un paio di stivali val più di tutto Beethoven», e quella di Adorno: «Dopo Auschwitz, scrivere poesie è un gesto di barbarie». Qui non siamo ad Auschwitz, e non c’è gente che muore di freddo senza stivali. Però anche questa è una fine del mondo. Scappano intere famiglie, mentre tanti uomini restano a fare la guerra, e sulle loro teste scoppiano le bombe. Lenin non riusciva ad ascoltare una sinfonia di Beethoven fino alla fine, gli sembrava una gioia troppo grande e perciò insopportabile: godere della musica più sublime quando a pochi metri da te c’era gente che moriva di freddo, perciò si alzò e se ne andò via esclamando: «Un paio di stivali val più di tutto Beethoven». Voleva dire: prima date da mangiare e da vestire all’umanità sofferente, e dopo, solo dopo, godetevi la musica.
Arte e sofferenza, musica e fuga, pianoforte e corsa ai treni, non vanno d’accordo. Alla stazione di Leopoli la preoccupazione di quel ragazzo che suona il pianoforte è suonare bene, non sbagliare una nota. Intorno a lui la gente s’accalca verso i treni, vuole scappare prima che arrivino i russi, la preoccupazione di tutti è salvare la pelle. Chi fa la scelta più utile? In tempo di guerra, in tempo di fame, in tempo di persecuzione serve a qualcosa la musica? Ha qualche importanza? Per rispondere a questa domanda Polanski ha fatto un film, 'Il pianista'. Il pianista è un ebreo che patisce tutte le crudeltà della storia, la caccia all’uomo, la persecuzione razziale, nella Varsavia occupata dai nazisti. Si nasconde in una casa semidistrutta, vive di quel che trova, ma a un certo punto in quella casa càpita un ufficiale nazista, che gli chiede: «Cosa fa lei per vivere?», «Io sono… io ero un pianista», «Pianista? Prego, suoni qualcosa», e gli indica un pianoforte. Il pianista suona. Polanski inquadra il suonatore che suona, poi la Varsavia distrutta, strade deserte, rovine. Sono i due opposti: il mondo della musica e il mondo della guerra.
Il film termina col pianista che suona in una grande orchestra, e pare che il concerto sia il premio concesso all’umanità come consolazione della guerra che ha patito. Come a Dante è concesso di vedere il Paradiso dopo che ha attraversato l’Inferno. Il ragazzo-pianista di Leopoli lo sa. Sa che la musica che lui suona è l’'altro mondo' rispetto alla fuga sui treni. Sedendosi a suonare il pianoforte, mentre tutti badano a scappare, il ragazzo- pianista dice: 'Ricordate che c’è un altro mondo, della musica, voi mettetevi in salvo per ritrovarlo'. Contro questo augurio-speranza del ragazzomusicista sta però la maledizione di Adorno: «Dopo Auschwitz, scrivere poesie è un atto di barbarie». Capisco. Ma credo che da Auschwitz siamo veramente fuori quando torniamo capaci di scrivere una poesia. Qui a Leopoli vale la pena scappare per sentire domani un pianoforte che suona. Questo pianoforte che suona è uno strumento della Resistenza.
Non si può aggiungere una sillaba a ciò che hai scritto, caro Camon. E allora scrivo qui, a margine, come faccio assai di rado con uno degli editoriali che scelgo per accompagnare il nostro racconto di ogni giorno. Lo faccio per confessare che fa bene sapere che anche a Kiev c’è un ambasciatore italiano che non solo resta al suo posto e, di quando in quando, per rincuorare se stesso e chi ha accolto in Ambasciata (e che aiuta come può e più che può), va alla tastiera e suona. Nello Scavo l’ha raccontato ai nostri lettori online: «La (non) leggenda dell’ambasciatore al pianoforte sotto le bombe ( tinyurl.com/mr6wtmnn ). Si resiste anche senz’armi e con la bellezza, è proprio vero. E si dice anche così ciò che ci fa restare umani e che umano farà il domani di tutti. (mt)