L’inverno scorso è stato rigido, ma la gelata più preoccupante è quella che si è avvertita nei reparti maternità. Tra gennaio e febbraio di quest’anno, infatti, sono nati 89.854 bambini, 4.472 in meno rispetto allo stesso bimestre del 2008. Un secco meno 4,72% che mette i brividi, spazza via i facili entusiasmi sull’incremento dei tassi di fertilità, lasciando intravedere, al contrario, nuove stagioni di stagnazione delle nascite e di declino demografico. Come segnalava ieri lo stesso Istat, comunicando i dati provvisori delle iscrizioni alle anagrafi dei Comuni, si tratta del primo calo significativo dopo anni di lento ma costante incremento. E, soprattutto, dopo un 2008 che aveva acceso speranze ( forse illusioni) con oltre 12mila nati in più (+ 2,5% rispetto al 2007). Esaminando i consultivi di gennaio e febbraio, il decremento appare omogeneo nelle diverse ripartizioni geografiche. Se il trend venisse confermato nei prossimi mesi, le nascite tornerebbero al livello del 2006, su una popolazione, però, nettamente cresciuta nel frattempo per l’effetto congiunto di immigrazione e allungamento della vita media. La composizione della società italiana, così, compierebbe un ulteriore netto passo verso l’invecchiamento, una sclerosi che è già declino. Cosa può aver determinato un calo così repentino? La risposta è difficile ed è pure possibile che si tratti solo di una ' frenata' momentanea, destinata a stemperarsi, ad essere riassorbita nella media complessiva dell’anno. Facendo due calcoli, però, il segnale suona assai preoccupante. I nati a gennaio e febbraio 2009, infatti, sono stati evidentemente concepiti intorno ad aprile, maggio del 2008. Il ' progetto genitoriale' – quell’accendersi del cuore che diventa desiderio e infine si fa idea razionale di avere un figlio – risale a giorni, a mesi precedenti. A un’epoca cioè nella quale la crisi economica era lontana, insospettata pure negli Stati Uniti, mentre da noi il Pil tutto sommato cresceva e la disoccupazione calava ai minimi storici. Vorremmo sbagliarci, ma l’intuito ci suggerisce che più la situazione economica e occupazionale si fanno incerte, più le famiglie faticano a far quadrare i bilanci – e questo accadeva già nella prima metà del 2008 – più a lungo vengono rimandati i progetti genitoriali, le unioni familiari, le scelte di vita impegnative. Si può immaginare, dunque, che anche le prossime rilevazioni mensili dell’Istat registreranno consistenti cali delle nascite, aggravando così il saldo complessivo di questo ' annus horribilis' e di quelli a venire. Provvedimenti quali la social card per i minori di 3 anni o gli incentivi per la creazione di micronidi sono misure troppo limitate, non solo rispetto alla gravità della crisi economica, ma più in generale per sciogliere quel gelo che – da anni, da decenni ormai – attanaglia le famiglie. Quell’incertezza, quel senso di solitudine che i genitori avvertono nell’affrontare i costi e le fatiche della crescita ed educazione dei figli. Occorrono certo le politiche di difesa dell’occupazione e delle imprese, ma ciò che appare non più rinviabile oggi è soprattutto l’attivazione di una strategia complessiva di aiuto alla famiglia, di sostegno alla natalità a partire dall’utilizzo della leva fiscale. Serve un ' Piano famiglia' per scongiurare un altro inverno demografico, questo lento incanutirsi della società e della stessa nostra economia, sempre più prive di giovani leve e nuovi stimoli. Un bambino che nasce è un’apertura di fiducia al futuro, è qualcosa che contrasta alla radice la paura e la crisi. Investirci conviene.