Un impegno con stile degasperiano. Il coraggio di una politica che guardi lontano
Caro direttore,
lei ha scritto che in assenza di un Alcide De Gasperi ci si potrebbe accontentare se «coloro che, a parole, si richiamano ai valori, alle scelte e allo stile degasperiano fossero conseguenti nei fatti», esortando almeno a cominciare a perseguire questa basilare coerenza. Prospettiva non semplice se già Luigi Einaudi commentava che «la maggior parte delle parole comunemente adoperate da uomini politici sono soprattutto notabili per mancanza di contenuti». Eppure, è utile una riflessione sulle condizioni attuali e su quelle in cui De Gasperi si trovò ad operare per risollevare le sorti d’Italia dopo la terribile Seconda guerra mondiale. Il popolo chiamato a concorrere alla rinascita del Paese era animato da speranze e forte di energie giovani. Invece «a partire dagli anni 70 – avverte lo storico Philippe Jenkins – le società europee sono diventate sempre meno fertili e nello stesso periodo l’età media si è alzata anche grazie ai progressi della medicina: oggi 1/3 degli italiani ha più di 55 anni mentre in Nigeria la stessa quota non va oltre il 7 per cento». Ai tempi di De Gasperi per le strade erano numerose le carrozzine con bambini, oggi assai rare, mentre si sono infittite le carrozzelle che trasportano persone anziane e invalide. I cattolici convergevano unitariamente nel partito della Democrazia Cristiana, animato da personaggi competenti, motivati e per lo più integerrimi. L’attivismo politico volontario e disinteressato era robusto ed efficiente. Nel tempo sono emersi purtroppo segni di deterioramento fino allo scoppio di Tangentopoli, in ordine alla quale il filosofo Pietro Prini invitava i cattolici italiani a un severo mea culpa perché «nella crisi della nostra classe politica noi cattolici siamo tutti responsabili. Fra le diverse forme di cattolicesimo contemporaneo, quella dei nostri intellettuali, dei nostri giornalisti e dei nostri moralisti, tranne poche eccezioni, è forse la meno disposta ad assumersi le grane di un dissenso aperto e coraggioso».
'Avvenire' sta intensificando l’attenzione all’impegno dei cattolici in politica proprio perché oggi esso, alla luce della Dottrina sociale cristiana, è assai problematico sia per l’attuale dispersione della loro presenza sia per l’assenza sulla scena di personalità autenticamente dotate del necessario carisma sia per il crescere anche nell’elettorato italiano e cattolico di una 'rabbia' che si traduce, come ha scritto su queste pagine Leonardo Becchetti, in polemica frontale persino con i 'competenti' e in un’attitudine di (s)governo conseguente. Esistono istituzioni, organizzazioni e meccanismi che fungono da ammortizzatori, ma fino a quando potranno reggere? Rabbia, amarezza, risentimento personale non risolvono i problemi del Paese. Ma se la 'rabbia' c’è, e ha ragioni, significa che è conseguenza di linee politiche inadeguate. Per di più, in un contesto dove ognuno dovrebbe avvertire la necessità di svolgere la propria parte (di sacrifici) e invece prevale la retorica dei diritti e si dimentica l’equilibrio dei doveri.
Come se ne esce? Anche un De Gasperi oggi avrebbe il suo da fare, ma disporrebbe del coraggio di «non pensare solo alle prossime elezioni, ma al futuro delle prossime generazioni». Con il supporto non della demagogia, ma di quella che Martin Bubber chiamava Bildung, cioè una formazione culturale che innervi negli uomini e nelle donne il senso di responsabilità. Che si avvale anche di simboli significativi, espressione di un sentire elevato, presenti oggi quasi solo in negativo: si va dagli straccetti logori che dovrebbero, sulle pareti di edifici pubblici, esporre il tricolore nazionale al degrado in cui venne lasciato il monumento di De Gasperi a Roma, fonte di sdegno espresso dalla figlia Maria Romana che rilevava come e quanti lo statista trentino abbia amato e servito il nostro Paese, che chiamava spesso 'patria' anche quando questo termine veniva dai più dimenticato o evitato, e che aveva dato coraggio agli italiani anche quando la situazione economica sembrava perduta e la speranza e l’impegno inutili. Non è mai così.
Coordinatore Centro studi sociali 'De Gasperi'