editoriale. Un mondo fatto di plastica. Che rischia di soffocarci
Tanto popolare da esserci entrata nel sangue, tanto nociva da averlo contaminato. La plastica, innovazione risalente al dopoguerra e oggi capo d’abbigliamento vintage, è protagonista del nostro presente e condizionerà il nostro futuro. Questo composto sintetico estratto dal petrolio è parte importante della nostra quotidianità. E lo è sempre di più: basti pensare che a livello mondiale nei primi dieci anni del 21° secolo è stata prodotta più plastica che in tutto il secolo passato. Il motivo è chiaro: i cittadini delle nazioni emergenti sono sempre più affamati di consumi. E nei prossimi 25 anni la domanda di petrolio dei Paesi non-Ocse aumenterà del 50%, mentre rimarrà quasi invariata quella dei Paesi Ocse. Petrolio quindi, ma non solo come risorsa energetica: le popolazioni dei Paesi emergenti usano sempre più plastica. E il risultato è, purtroppo, straordinariamente visibile: negli oceani esistono almeno cinque "grandi isole di plastica" che viaggiano seguendo le correnti. Una nell’Oceano Indiano, due nell’Atlantico e due nel Pacifico: una di queste ultime è la più grande del mondo, un agglomerato di rifiuti di plastica che gli esperti valutano esteso quanto il Canada, ovvero 30 volte l’Italia.
La resistenza alla biodegradazione dei materiali plastici è un problema che tocca da vicino anche i cittadini dello Stivale, ben visibile durante le alluvioni che causano dissesti idrogeologici. Solo per fare un esempio recente, la condizione dell’Arno dopo la piena di febbraio è quella di «un fiume di plastica e rifiuti, ma non ci sono soldi per pulire», come hanno denunciato le istituzioni locali. In Italia, la domanda di materie plastiche supera i 7 milioni di tonnellate l’anno, seconda in Europa dopo la Germania, che arriva fino a 12 milioni, e seguita dalla Francia, che ne conta solo 5. A cosa viene destinata la produzione relativa? Per circa il 40 % agli imballaggi: bottiglie, vasetti, packaging di vario genere, sacchetti. Secondo dati recenti, il nostro Paese si è confermato primo in Europa e terzo nel mondo per consumo di acqua in bottiglie di plastica, con 196 litri per abitante, dietro Arabia Saudita e Messico. In tutto, nella Penisola, sono state utilizzate l’anno scorso circa 6 miliardi di bottiglie di plastica. Meglio i sacchetti: 181 "usa e getta" scelti in media da un italiano in un anno, contro i 198 di un europeo e, soprattutto, i 466 di polacchi e portoghesi. Ma i danesi ne usano solo 4. Ma il punto è capire se questi oggetti valgono il prezzo che esigono in termini di impatto sullo "human habitat", l’eco-sistema dell’essere umano.
A nord-ovest dell’arcipelago delle Hawaii, nelle isole Midway, il fotografo Chris Jordan ha documentato la lenta agonia di gran parte dei 3 milioni di volatili che popolano il territorio: «Questi uccelli che vivono in uno dei luoghi più remoti al mondo muoiono uccisi dalla spazzatura della civiltà lontana. Muoiono con lo stomaco pieno di una sostanza che non li nutre: che sia un tappo o un frammento, si tratta sempre di plastica». Destino comune a una parte enorme della fauna marittima mondiale, dalle balene ai delfini. Si stima che il 70% delle tartarughe delle Hawaii abbia residui di plastica nello stomaco e quindi tossine che generano una morte lenta: spesso infatti le testuggini scambiano i sacchetti di plastica per meduse, il loro alimento preferito. I colpevoli di questo eccidio sono minuscoli pezzetti velenosi di un sogno celebrato nel 1955 dalle copertine di Time, dedicate ai prodotti di plastica: una sostanza miracolosa creata dal genio umano che sembrava poter diventare qualsiasi cosa. Negli anni Sessanta, un americano consumava mediamente 13 chili di plastica l’anno; oggi i chili sono 140 e in Europa addirittura 170. Certo, questa esplosione di consumi significa lavoro e crescita economica: considerando la sola Europa a 28, il business della produzione della plastica conta circa 1,45 milioni di lavoratori in oltre 59mila aziende che generano un fatturato annuo di 300 miliardi di euro.
Il problema è che il tutto ci è sfuggito la mano e l’uso di questi prodotti si è trasformato in abuso, rappresentato, come detto, dalle cinque isole di rifiuti grandi come nazioni che galleggiano negli oceani: in queste aree c’è più plastica che vita marittima. Durante il loro avanzamento, il sale e i raggi solari frammentano gli oggetti che le compongono. Frammenti che non scompaiono, diventando facile preda della fauna marittima. E non solo, perché queste isole, e la plastica in generale, sono potenti "spugne" per sostanze tossiche come il DDE, DDT e il PCB: è l’effetto bioaccumulativo e produce la formazione di microplastiche. I detriti così composti, passando lungo la catena alimentare, si intossicano esponenzialmente fino a quando non arrivano sulle nostre tavole. E poi nel nostro sangue, con il pericolo di provocare diverse patologie. Stesso destino di due elementi chimici contenuti in prodotti di plastica che usiamo quotidianamente: il BPA (pellicole, bottiglie...) e gli ftalati (spazzolini, profumi, siringhe...). L’assunzione di queste due sostanze può provocare varie patologie legate all’apparato riproduttivo, quindi tumori, obesità, malattie della tiroide e di altro genere.
Non si tratta della sostanza in sé, ma dell’uso distorto che se ne fa, spesso figlio dell’accidia. Negli Usa si consumano ogni giorno 300 milioni di bicchieri di carta foderati di plastica o di polistirolo: la loro vita media è di 15 minuti e impiegheranno secoli per scomparire. E che dire dei sacchetti di plastica? Nel mondo se ne consumano oltre mille miliardi ogni anno, quasi un milione al minuto: la vita media di questi prodotti, che impiegano 400 anni per essere smaltiti, è di 20 minuti. In Italia, dove la raccolta differenziata della plastica cresce mediamente del 6% annuo, dal 2011 il polietilene è fuorilegge: sono legali solo i sacchetti ecocompatibili e in bioplastica. Obiettivo: eliminare ogni anno milioni di "vecchi sacchetti". In effetti, uno studio dell’Università Bocconi indica l’uso del 300% in più di borse di tela o di carta negli ultimi anni da parte degli italiani, segno di una maggiore consapevolezza ambientale. A livello continentale, il 10 marzo il Parlamento europeo voterà una direttiva per la messa al bando dei sacchetti di plastica, chiedendo agli Stati membri di adottare misure nazionali. Ma i sacchetti sono il sintomo, non la malattia. La prima responsabile dell’abuso individuale di questi prodotti è la nostra scarsa coscienza civile, come afferma Susan Freinkel, autrice di Plastica, un idillio tossico: «Siamo dipendenti da essa: è una relazione nociva, perché siano legati a qualcosa che non ci fa bene». Non serve liberarsi della plastica, ma solo di oggetti inutili che vivranno molto più a lungo di noi, gravando sulle spalle delle prossime generazioni.