Il direttore risponde. Un mondo di occhi (un po’ meno) chiusi sulle vittime dell’odio per donne e cristiani
Gentile direttore,
mi chiedo perché le femministe ed i terzomondisti di casa nostra, ed europei, non dicano o facciano nulla in solidarietà con le giovanissime ragazze nigeriane rapite e vendute dagli integralisti islamici di Boko Haram. Forse difendere giovani nere africane cristiane contro le violenze degli integralisti musulmani non è di moda per i radical chic, la cosiddetta “intellighenzia” di casa nostra e pacifisti vari?
Caro direttore,
avrei una domanda particolare da rivolgere: che fine hanno fatto o dove si nascondono tutti i “magnifici” movimenti femministi sparsi per il mondo? Lo chiedo perché di fronte al dilagare della prostituzione, di fronte agli sconvolgenti fatti a danno di donne, ragazze e bambine che accadono ormai ovunque nel mondo (penso alla Nigeria, ma non solo), rimango sempre in attesa di una reazione di protesta civile e corale da parte delle donne cosiddette emancipate a favore delle donne più svantaggiate e in sofferenza. Invece sono sgomenta di fronte al nulla. Ci riempiamo orecchie e bocca con il nuovo neologismo di casa nostra del momento, “femminicidio”, che curiosamente non si applica mai al feto di sesso femminile abortito, ma lasciamo inesorabilmente sole tutte le bambine, ragazze e donne maltrattate, sfruttate, schiavizzate. Ho ancora una speranza: che un’anima illuminata organizzi una veglia di preghiera nelle città più importanti del mondo che accomuni donne e uomini per sconfiggere il male. Grazie per l’attenzione e buon lavoro
Adele Mauri
È vero, gentile signor Di Giovanni, il mondo ha fatto e fa ancora fatica a reagire alla interminabile catena di stragi, di violenze e di intimidazioni che, in Nigeria – e purtroppo non solo in quel grande Paese africano, multietnico e multireligioso, teatro delle tristi gesta dei Boko Haram – ha per protagonisti militanti qaedisti e loro fiancheggiatori. Vittime i cristiani, ma anche tutti coloro che praticano le vie di una civile e rispettosa convivenza nelle differenze. Però qualcosa accenna a cambiare. Nei giorni scorsi abbiamo dato conto di un soprassalto di consapevolezza (certamente interessato, ma comunque benvenuto) nelle grandi cancellerie: dagli Usa alla Cina, passando per le ex grandi potenze coloniali europee. Conforta aver potuto annotare che la prima scintilla di questo atteso cambiamento di rotta sia stata fatta scoccare da una iniziativa congiunta di donne e madri, cristiane e musulmane unite. Ancora non basta, perché siamo lontanissimi da una mobilitazione degna di questo nome, soprattutto a livello di opinione pubblica internazionale, ma è un segno positivo dopo il vuoto di troppi anni. E anche noi ci sentiamo un po’ meno soli e isolati nello sforzo di tenere gli occhi aperti e di raccontare fatti e misfatti con professionalità e umana partecipazione, senza mai cedere alla logica dell’odio che i terroristi assassini vogliono assolutamente imporre.
È vero, cara signora Mauri, nella riflessione e nella denuncia dei circoli intellettuali femministi soprattutto di casa nostra non sembrano trovare spazio adeguato (e a volte anche solo una minima attenzione) le vecchie e nuove forme di mercificazione, sopraffazione e mortificazione delle donne «più svantaggiate e in sofferenza». Non consola abbastanza qualche apprezzabile e acuta eccezione. E neppure può accontentarci l’emergere (via web e social network) di una vasta controcatena virtuale di solidarietà generata soprattutto dal caso – scoperto da tanti in ritardo, ma ora, grazie a Dio, non più accantonato – dei rapimenti di studentesse nigeriane che i fondamentalisti islamici di Boko Haram continuano a pianificare e attuare, negando il diritto di quelle giovani donne (e di ogni altra donna) a una piena formazione culturale e trasformandole in schiave sessuali e in “oggetti” di commercio. Vorremmo sentire e vedere in modo diverso, per così dire classico e pacificamente ribollente, la sana indignazione e la giusta speranza di persone capaci – come anche lei suggerisce – di “vegliare” in preghiera o in laica partecipazione per chiedere che quel “male” non prevalga, per affermare che a esso non ci si può arrendere. Su chi fa il mio mestiere incombe il bellissimo dovere di tenere gli occhi aperti e di aiutare quanti più possibile a fare altrettanto. Per poter dire e fare cose che abbiano senso e spingano il mondo degli uomini e delle donne nella direzione giusta. Non c’è moda che tenga, se finalmente si riesce ad aver chiaro questo obiettivo. E non ci sono rivincite da prendere con nessun “distratto” (per insufficiente comprensione dei fatti o per malizia ideologica), ma vittorie da conquistare insieme.