Il dialogo. Tra Santa Sede e Cina un incontro lontano dalle vecchie logiche
La presenza di due vescovi cinesi al Sinodo ha commosso i cattolici di tutto il mondo. In Cina ha colpito soprattutto la commozione con cui Francesco li ha accolti. La sua evidente sincerità vale più di dieci documenti ufficiali, ha commentato un diplomatico vaticano. Agli occhi dei cinesi, infatti, l’intensa partecipazione personale del Papa ha confermato l’importanza storica della svolta tra la Santa Sede e il loro Paese.
Ne sono convinti anche i vescovi venuti in Italia dopo l’Accordo sino-vaticano del 22 settembre 2018, e infatti sottolineano che papa Francesco sta realizzando nei confronti del loro Paese un’opera ancora più importante di quella compiuta da Matteo Ricci quattro secoli fa. Il vescovo di Chengde, Guo Jincai – che ha partecipato al Sinodo insieme a Giovanni Battista Yang Xiaoting ( Jan’an) – lo ha spiegato ad 'Avvenire'. Cinquecento anni fa, ha detto, Matteo Ricci «è venuto in Cina da solo, non aveva avuto allora il sostegno e l’aiuto che abbiamo ricevuto noi oggi […] sostenuti, incoraggiati dall’accoglienza del Papa, dal suo abbraccio, dall’abbraccio della Chiesa universale».
I due vescovi che hanno partecipato al Sinodo non hanno parlato della premessa di tutto questo: l’Accordo tra Santa Sede e Cina. Lo ha fatto invece Giuseppe Shen Bin, vescovo di Haimen, che ha partecipato all’incontro 'Ponti di pace' organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Arcidiocesi di Bologna, insieme ad altri due vescovi, Dang Mingdang (Xi’an) e Yang Yongqiao (Zhoucun). Shen Bin ha attribuito all’Accordo l’effetto di «integrare pienamente la Chiesa cinese nella Chiesa universale», abbattendo «un muro durato quasi settant’anni».
Niente di sorprendente per un osservatore esterno. Ma presentare questa integrazione in chiave positiva capovolge, appunto, una prospettiva di settant’anni: ciò che appariva una pericolosa interferenza – i legami dei cattolici cinesi con la Santa Sede – è diventato improvvisamente positivo. Ciò che sembrava un danno è apparso una risorsa. Il capovolgimento ruota intorno alla nota più caratteristica della Chiesa cattolica e cioè la sua universalità, di cui la figura del Papa è l’espressione più emblematica. Lo ha sottolineato esplicitamente proprio Shen Bin, affermando che grazie al «ponte» costituto dall’Accordo, in questo Sinodo «per la prima volta in settant’anni l’universalità della Chiesa si è arricchita della presenza» di vescovi cinesi. «Guardo a questa occasione – ha aggiunto il vescovo di Haimen, parlando dell’incontro di Bologna e del suo pellegrinaggio a Roma – come a un invito alla Chiesa in Cina a percorrere con maggiore determinazione il cammino della riconciliazione e della pace e un invito anche a svolgere un ruolo più attivo per la causa della pace nel mondo».
Attingere allo spirito di universalità della Chiesa cattolica là dove soffia più forte, insomma, spinge anzitutto verso una maggiore unità tra i cattolici in Cina. Mostra, inoltre, che i cattolici cinesi possono interpretare, a modo loro, una vocazione a cui tutto il loro popolo si sente oggi chiamato. «Costruire una comunità di destino per tutta l’umanità», è il messaggio che il presidente Xi Jinping ha deciso di lanciare, anche spiazzando osservatori e critici, facendone l’obiettivo più importante della «nuova era», come i cinesi chiamano oggi la fase storica in cui è entrata la Repubblica popolare cinese, segnata da una più marcata iniziativa internazionale. Proprio l’universalismo della Chiesa, perciò, attira oggi verso i cattolici la stima di tanti connazionali in una Cina che vuole partecipare di più alla vita della comunità mondiale.
Anche se non ha ancora prodotto conseguenze pratiche immediatamente visibili, dunque, l’Accordo sinovaticano ha aperto orizzonti sorprendenti e messo in moto processi inattesi. Anche l’invito portato a Francesco dal presidente della Corea del Sud Moon Jae-in perché visiti quella del Nord rientra in questo nuovo clima. Questo invito si aggiunge a quello rivolto al Papa dal vescovo Guo Jincai a visitare la Cina: non ancora un passo formale ma un gesto probabilmente autorizzato. Tutto ciò non è casuale.
L’Accordo sino-vaticano del 22 settembre ha mostrato la piena estraneità di Francesco e dei suoi collaboratori sia al clima della vecchia guerra fredda sia alle prospettive di una nuova guerra fredda, di cui si avvertono preoccupanti segnali come lo scontro sui dazi tra Stati Uniti e Cina, pericolosi confronti navali tra americani e cinesi, bracci di ferro come quelli sul trattato missilistico Usa-Russia e discorsi come quello del vicepresidente degli Stati Uniti Michael Pence che accusa il governo di Pechino di «interferire» nelle elezioni di mid-term. È un’estraneità che rende il Papa un credibile player di pace, in un’area oggi cruciale per la pace nel mondo.