Come ha giustamente sottolineato il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, il vero problema dell’Eurozona non è la sostenibilità del debito greco o l’eventuale contagio sui debiti degli altri Paesi membri (prevenuto dall’ombrello del
quantitative easing) ma il contagio politico e la sostenibilità sociale delle politiche di austerità. Cosa succederebbe se le forze politiche più scettiche nei confronti del progetto europeo andassero al potere in Francia, Spagna o in Italia invece che in Grecia?L’uomo non è
homo oeconomicus, ma cercatore di senso. Se l’Unione Europea produce senso insufficiente lo cercherà nella non-Europa. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’idea di Europa scaldava i cuori perché voltare pagina rispetto a un passato di guerre fratricide era un grande traguardo ideale per il quale la generazione dei nostri padri ha lottato. Il seguito della storia, molto meno poetico e più prosaico, lo conosciamo. Sino a un progetto di moneta unica non accompagnato dall’armonizzazione delle politiche fiscali e dal progresso verso l’Unione politica. L’eclisse della politica che lascia la ribalta ai banchieri e ai ragionieri (che hanno un ruolo importante, ma non dovrebbero occupare la prima fila) e perciò produce il paradosso che l’unico vero "politico" capace di gesti di solidarietà e di fraternità nell’esercizio della propria funzione sulla scena della Ue è oggi Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea che anche giovedì ha deciso, a sorpresa e a maggioranza, di anticipare l’innalzamento dei tetti di liquidità alle banche greche per favorirne l’immediata riapertura. Draghi, bisogna ripeterlo e sottolinearlo, ha deciso "a maggioranza", e le decisioni "a maggioranza" sembrano essere oggi l’unica flebile speranza in quest’Europa ostaggio di visioni e interessi tedeschi.L’eclisse della politica in Europa è anche l’eclisse dell’intelligenza, perché controproducente per gli stessi bilanci e interessi economici di tutti i protagonisti dell’Unione. Vuol dire non capire che la linea dell’austerità e del pretendere l’impossibile da un debitore in crisi aumenta i costi dei creditori. Quanto hanno pagato in più i tedeschi per non aver avuto la generosità e la lungimiranza di non porre sulle spalle dei greci fardelli troppo pesanti, quegli stessi fardelli che i greci avevano tolto dalle spalle degli ex aggressori tedeschi dopo la seconda guerra mondiale?
Un noto antropologo americano ha studiato gli ultimi 5.000 anni della storia economica dell’umanità identificando giubilei e condoni del debito come elementi comuni essenziali per risolvere situazioni ormai inestricabili in momenti particolarmente critici dei rapporti tra creditori e debitori. Siamo in uno di quei momenti della storia. Ed è dunque arrivato il momento di rilanciare un’iniziativa di ampio respiro: il giubileo del debito europeo.Ovviamente non si tratta di portare a zero il valore nominale dei titoli pubblici dei Paesi dell’eurozona, cosa che danneggerebbe in primo luogo tutti noi cittadini che possediamo una quota importante di quei titoli. Si tratta invece di prendere sul serio quei progetti di ristrutturazione del debito europeo tecnicamente validi e già in circolazione. Come è noto ve ne sono di due tipi. Alcuni richiedono la mutualizzazione dei debiti dei diversi Paesi membri, cosa per il momento tabù. Altri invece realizzano l’obiettivo senza che vi debba essere alcun trasferimento sostanziale di denaro tra un Paese membro e l’altro. È il caso del Piano Wyplosz, uno dei punti qualificanti del "Manifesto per la nuova Europa" lanciato su queste colonne nello scorso novembre e firmato da più di 360 economisti. Punto qualificante del piano è l’intervento della Bce che sul mercato acquisterebbe in tutto o in parte il debito dei Paesi membri eccedente il rapporto del 60% tra debito stesso e Pil e lo trasformerebbe in obbligazione perpetua a tasso zero ripagata con le risorse da "signoraggio" degli Stati. Non è questo il luogo per entrare nei dettagli tecnici o nei pro e i contro di questa rispetto ad altre proposte di ristrutturazione. Ma si tratta di una prospettiva seria e sensata.E l’uomo è innanzitutto cercatore di senso. Quello che è certo è che se la nostra Europa non sarà in grado di rilanciare presso le generazioni presenti e future i propri ideali riproponendosi come strumento di solidarietà, cooperazione e sviluppo la bilancia del senso passerà decisamente sul piatto della lotta contro quest’Europa, prefigurando un futuro molto incerto e difficile per tutti noi e, soprattutto, per i nostri figli.