Che stia aumentando in modo esponenziale nel nostro Paese, e che sia cosa grave, l’ostilità tra i "berlusconiani" e gli "antiberlusconiani" è sotto gli occhi di tutti. Ancora più grave, però, è che questa ostilità sembra andare oltre la politica e coinvolgere la visione del mondo e gli stessi stili di vita degli italiani. Le cause? A seconda dei commentatori, esse vengono individuate in fattori sistemici (la crisi dei partiti tradizionali, la carenza di regole condivise), in fattori morali (la crisi dell’etica pubblica), in fattori contingenti, ancorché rilevanti (la figura stessa di Berlusconi come "politico") e perfino in fattori etnico-culturali… È chiaro che si potrebbe continuare a lungo aggiungendo interpretazioni a interpretazioni.Ciò che però, in genere, mi sembra che venga trascurato dagli analisti è che la politica ha in se stessa, come suo lato oscuro, il gene della
faziosità, cioè della contrapposizione cieca e aprioristica, della rinuncia alla ricerca delle buone ragioni, del gusto per il conflitto (che può al limite divenire perfino cruento) e per l’umiliazione dell’avversario. Gli esempi sono innumerevoli: chi ha una certa età non può non avere memoria storica del dileggio ingiurioso, della satira, impietosa fino al limite dello scherno, e delle accuse di disonestà personale cui venivano sistematicamente sottoposti durante la Prima Repubblica politici che oggi non solo sono oggetto di rispettosa memoria e di rimpianto, ma che addirittura vengono additati come figure esemplari. Questo versante oscuro della politica arriva, quando va oltre una certa soglia, a deformarla profondamente, fin quasi a renderla irriconoscibile. È quanto si dà, peraltro, in tutte le altre forme di esperienza tipicamente umane, ciascuna aggredibile da pulsioni negative presenti nel suo seno: l’economia è deformata dal desiderio insaziabile del profitto, l’etica dal moralismo ipocrita, la religione dall’intolleranza fondamentalistica, l’arte dalla pretesa della bellezza di realizzarsi separando le proprie vie da quelle del bene (basti pensare agli "artisti maledetti"). L’emergere di queste pulsioni negative e distruttive destruttura la persona e va accanitamente contrastato, soprattutto quando queste pulsioni emergono nella politica, perché allora ciò che si destruttura è lo stesso bene comune. Il che è gravissimo.Nella storia si sono cercati infiniti rimedi contro le pulsioni distruttive della politica. Il successo della monarchia come forma di governo non è dipeso dal fatto (come pensava Aristotele) che la cosa migliore sia che uno solo stia al comando, ma dal fatto che, se a comandare è qualcuno che sta al di fuori e al di sopra delle parti, c’è una qualche speranza che ne sappia contenerne la conflittualità. A sua volta, la democrazia ha il suo punto di forza non nel primato dato alla volontà della maggioranza (che può ben diventare tirannica, come la storia ci ha spesso mostrato), ma nella riconduzione di questo primato all’interno di forme costituzionali, garantistiche per la minoranza. Ma non dobbiamo farci troppe illusioni: tutte le forme di governo possono indebolirsi e degenerare, rivelandosi alla fine impotenti di fronte alla cecità delle passioni di parte. Come se ne esce? Attraverso un rinnovato lavoro di ingegneria costituzionale, capace di ricreare un sistema di pesi e contrappesi in grado se non di eliminare la faziosità, almeno di contenerla in limiti accettabili. È una proposta che è stata di recente formulata da politici di buona volontà. È un lavoro che merita di essere fatto, anche se le sue speranze di riuscita sono limitate; come ogni progetto, anche quello di una nuova ingegneria costituzionale va fatto a freddo, in momenti cioè in cui ciò che unisce è più di ciò che divide (e questo spiega la realizzazione, alla fine degli anni Quaranta, di quel piccolo miracolo che è stata la Costituzione italiana). Esiste peraltro anche un’altra strada, molto più lunga e irta di ben maggiori difficoltà, ma produttiva alla lunga di migliori effetti. Bisogna lavorare per dissolvere definitivamente il mito del primato della politica, residuo e scoria del marxismo novecentesco e tornare a quel radicamento della politica nel bene, che è contrassegno e gloria della dottrina sociale della Chiesa. Ricondurre la politica al bene significa tematizzare il
bene comune come principio di ogni pratica politica, come quell’ambito nel quale ha senso la controversia, ma non il conflitto; che divide, ma non crea fossati incolmabili; che accende gli animi, ma non l’odio di parte. Se c’è un dovere civile dei cattolici nell’Italia di oggi è proprio questo: ricondurre gli animi esasperati e conflittuali degli italiani a un orizzonte comune capace di conciliarli, nel rispetto delle posizioni di tutti.