Il dovere di pace dei politici e il nostro. Un cantiere per artigiani
Il primo giorno dell’anno: un inizio! Vivere l’inizio è sempre un privilegio. Ricordo un giovane caucasico di ventidue anni, Ilez, scampato alla guerra, che si chiedeva – e mi chiedeva! – perché, capitava proprio a lui, a differenza di tutti i suoi compagni di scuola morti sulle montagne con un fucile mitragliatore in braccio, di essere vivo e di poter iniziare una nuova vita. Questo 1° gennaio 2019 possiamo pensarlo così: noi, ancora vivi, stupiti per la vita che continua e addolorati per tutti coloro che sono morti e moriranno per la violenza e la guerra.
Essere vivi ci appare come una responsabilità altissima e terribile, perché riguarda ciascuno di noi, per il solo fatto di essere uomo o donna, appartenente all'unico genere umano, cioè membro di una comunità che condivide in solido la Terra. La radice del nostro essere politico è la responsabilità per l’altro e per gli altri, che rende inconcepibile ogni dimissione. Illusorio è infatti il ritrarsi a cerchi concentrici dentro appartenenze sempre più anguste e ringhiose, funzionali all'esigenza di rassicurare dalla paura, ma candidate a divenire inevitabilmente accanite e, dunque, aggressive e violente. Ebbene, se l’essere politico è di ciascuno di noi, con le sue conseguenti responsabilità, a maggior ragione lo è di chi fa della scelta politica la sua priorità d’impegno.
Forse per questo papa Francesco ha scelto di dedicare il messaggio per la 52ª Giornata mondiale della Pace al tema della «buona politica», per ricollocare ciascuno di noi, all’inizio del nuovo anno, davanti alla responsabilità di servire la pace, senza possibilità di dimissioni.
«Ne siamo certi: la buona politica è al servizio della pace – scrive il Papa in apertura –. Viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno. Oggi più che mai, le nostre società necessitano di 'artigiani della pace' che possano essere messaggeri e testimoni autentici di Dio Padre che vuole il bene e la felicità della famiglia umana». Parole che contengono la risposta non più rinviabile a un’urgenza storica: la formazione di una classe dirigente a livello locale e globale consapevole che «La pace è frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani». Agire così significa essere artigiani di pace. Se la responsabilità davanti al bene comune appartiene a ogni cittadino, in particolare riguarda chi ha ricevuto il mandato di proteggere e governare, che consiste nel salvaguardare il diritto e incoraggiare il dialogo tra gli attori della società, tra le generazioni, tra le culture e tra le parti in conflitto. Perché solo nel dialogo si crea la fiducia. La fiducia è esperienza concreta, non permette astrazioni e velleità, anzi si rafforza quando è sollecitata e messa in discussione e persino quando si sta smarrendo. La fiducia nasce dall'incontro di persona e si rafforza in ogni relazione con i suoi inevitabili conflitti. Questo sarà possibile praticando un’educazione nuova: nei luoghi delle guerre, per uscire dell’inganno del nemico e far germogliare la pace, e in qualsiasi altro luogo del mondo, per prevenire la degenerazione dei conflitti e orientarli verso il bene e la convivenza pacifica.
Presidente di Rondine Cittadella della Pace