Più responsabilità. L'arresto del fondatore di Telegram è segno di un cambio d'epoca?
Il logo di Telegram
Siamo entrati nella epoca della censura evidente? Dovremo rinunciare alle nostre foto frou-frou o ai ritratti degli spaghetti alle cozze? Stiamo in un cambio d'epoca fatto di guerra e anche di bavagli visibili e invisibili? Quando cambiano le epoche cambia l'editoria, cioè il modo di trasmettere i contenuti.
La notizia dell'arresto del fondatore di Telegram, porta alla ribalta, al di là degli elementi squisitamente giuridici, una grande questione. Quando cambiano le epoche, ci sono molti segni per capirlo. I più appariscenti sono appunto purtroppo guerre, pestilenze, carestie. E strani scontri di potere, a tratti incomprensibili. E balzi tecnici e tecnologici. E non meno importanti sono i cambi “editoriali”. La storia ci ha indicato che alla caduta dell’Impero romano furono soprattutto i monaci benedettini a incaricarsi di trasferire al futuro, con mezzi per allora nuovi, i contenuti del passato. Identicamente accadde, nel pieno delle convulsioni politiche e religiose europee del 1500, con la nascita della editoria a stampa replicabile grazie a Gutenberg.
E ora assistiamo da tempo a una massiccia, portentosa migrazione dei contenuti dalla editoria ormai classica di giornali e libri (e quindi di scuole e università che li usavano) ad altri modi di diffusione e condivisione. Tale nuova editoria corre sulla rete e ha il suo punto di maggior forza di diffusione attraverso quelli che chiamiamo “social”. Insieme allo sviluppo della logistica e del lavoro da remoto, dimostrazione di potenza della rete, sono nate dunque strane forme editoriali contrassegnate da due elementi principali. In primis, pare non ci sia un editore responsabile e ognuno pubblica gratis quello che vuole.
La leva del narcisismo è forte. La nostra è epoca di figli di NN, figli di Narciso e di Numero (più follower, più vendi più vali - gran falsità!). In secondo luogo, scopo occulto (neanche tanto) è succhiare dati per orientare acquisti e, ora si vede, opinioni. Ma gli asini non volano e si sa cascano. Dunque questi strani editori apparentemente “irresponsabili” stanno cascando in una lotta senza esclusione di colpi. Se scrivessi qui che Pinco Pallino è un ladro o lo offendessi, ne risponderei io ma anche il direttore e anche l'editore di questo giornale. Fino a ieri sui social invece c'era libertà di espressione, apparente. Poi hanno cominciato a bannare certe parole, poi certe immagini, sulla base di capziosi criteri che algoritmi eseguono ferocemente. In molti si sono trovati impossibilitati a scrivere su certe piattaforme, il presidente degli Stati Uniti come tantissimi signori nessuno. In alcuni casi, ha iniziato ad apparire una scritta inquietante tipo “Occhio, il governo su questo argomento non la pensa così“.
Orwell, un dilettante. I recenti episodi legati al duro cambio d'epoca, dalla campagna pro-Trump di X alla messa al bando di TikTok negli Usa o di Facebook in Cina all'arresto del fondatore di Telegram, fanno intendere ciò che era chiaro. Non esiste editoria senza principio di responsabilità. E in genere i capi dell’editoria rispondono di quanto viene scritto ai loro clienti, ma anche ai loro “padroni” o agli inserzionisti. E non esiste guerra e cambio d’epoca che non siano anche editoriali. Altro che foto frou-frou o a piatti di spaghetti alle cozze. Continuiamo pure a farle, ma senza troppa ingenuità. Essere babbei in un'epoca così è ancora più grave.