Opinioni

Botta e risposta. Bonus figli senza limiti di reddito? Aiuta le famiglie, non i ricchi

Massimo Calvi martedì 31 ottobre 2017

Caro direttore,

ho letto con piacere l’ampia analisi di Massimo Calvi pubblicata su 'Avvenire' del 24 ottobre 2017 sotto al l titolo «Un bonus per ogni figlio...». L’articolo trae spunto dalla proposta di Matteo Renzi di dare mille euro all’anno per ogni figlio. Trattandosi di proposta e sapendo come funziona la nostra politica , sempre a caccia di consensi, mi vien da dire 'bella idea', ma non troverà conferma nel nostro Sistema Paese. Ma non è questo il punto. Vorrei invece sottolineare, come fa Massimo Calvi, ciò che avviene normalmente in altre nazioni del nostro stesso continente: «Tutti gli Stati europei prevedono un child universal benefit, un assegno dato a ogni bambino a prescindere dalle fasce di reddito». Personalmente mi sono sempre chiesto perché anche in Italia questo non sia possibile e si preferisca invece 'perdersi' in astrusi metodi di calcolo per certificare la capacità contributiva della famiglia a cui poi attribuire l’eventuale beneficio economico. Il presupposto invece deve essere, come del resto avviene nel resto d’Europa, la composizione della famiglia in termini di figli. Ciò renderebbe tutto più semplice e chiaro per chi deve percepire il beneficio (le famiglie) e allo stesso tempo per chi lo deve elargire (lo Stato) sia in termini di previsione che di controllo. Certamente si obbietterà che così facendo anche i figli di Marchionne (ammesso che oggi sia fiscalmente nostro concittadino…) godranno del beneficio, ma non ritengo questa obiezione così determinante in riferimento a tutte le altre famiglie che Marchionne lo vedono solo alla televisione. Nella speranza che anche in Italia si provi a fare qualcosa di europeo... cordiali saluti.

Lorenzo Marin Piove di Sacco (Pd)

Gentile signor Marin,

la ringrazio e colgo volentieri lo spunto per tornare sulla questione di un assegno universale per i figli. Ogni Paese ha un suo mix di interventi a sostegno dei nuclei con prole, tra aiuti monetari diretti, sconti fiscali, servizi. L’Italia è tra le nazioni che in Europa e nell’area Ocse destinano alla famiglia meno risorse in rapporto al Pil e che spendono meno in aiuti diretti. La spesa totale si aggira sul 2% del Prodotto interno lordo, sotto la media Ocse (2,5%), e molto meno di Regno Unito, Danimarca, Francia, Svezia e Germania, che viaggiano tra il 3 e il 4%. Anche in fatto di sostegni 'cash' la spesa è bassa, circa lo 0,8% del Pil, la metà dei Paesi sopra citati. In Italia, inoltre, l’assegno per i familiari a carico decresce in base al reddito dei lavoratori dipendenti (non va agli autonomi): già oltre i 1.300 euro di reddito familiare l’importo diventa minimo, fino ad annullarsi per il ceto medio; in Francia, Germania, Danimarca, Regno Unito, Svezia, Belgio, Austria, Olanda… il 'benefit' è uguale per tutti. Ma come si giustifica un bonus universale? Una politica pro famiglia che allinei l’Italia ai Paesi più virtuosi dovrebbe puntare ad aumentare le risorse complessive avvicinandole almeno alla media Ocse e poi migliorare il mix dei sostegni: più risorse ai poveri (incrementando la dotazione per il Reddito d’inclusione); più servizi gratuiti (asili, trasporti… etc.); una riforma fiscale che avvantaggi chi ha figli a carico nella direzione del Fattore famiglia; un assegno universale per ogni figlio. L’idea che almeno una parte del mix di sostegni sia distribuita senza condizioni con uno strumento semplice e chiaro può servire a trasferire l’immagine di una nazione che riconosce il valore di 'tutti' i figli, attribuendo un merito a 'tutti' i genitori che li crescono. Una sfida anche culturale, che pone al centro la famiglia, senza distinzioni tra ricchi, poveri, evasori, disoccupati, dipendenti, autonomi, precari, partite Iva o altro. L’Italia senza assegno universale è il Paese in cui chi ha prole diventa (economicamente) più povero rispetto a chi non ne ha. Questo accade perché c’è ancora chi sostiene che un single o un pensionato che guadagnano 1.400 euro al mese hanno più bisogno di un padre o di una madre che ne guadagnano 1.700. Non si diventa genitori per i soldi che concede uno Stato – i tassi di natalità nel mondo non seguono sempre i benefit – ma un contesto culturale 'family friendly' si promuove anche così. Porre limiti di reddito per escludere i contribuenti super-ricchi come i top manager o i big del calcio è giusto. Il problema è che questa argomentazione è sempre stata una scusa per tagliare fuori non i 'Paperoni', ma le famiglie del ceto medio e mediobasso. Quelle che pagano le tasse, alimentano il welfare, e che quando hanno figli vedono lo Stato voltarsi dall’altra parte.