Accanto a Narducci. Umile gentiluomo, e non solo. Nell'Avvenire dei «due Angeli»
C’era chi ci scherzava su: due 'angeli' per lunghi anni, ai vertici del giornale cattolico. Narducci il direttore, Paoluzi prima vice e poi successore. Quando la successione avvenne, nel maggio dell’Ottanta, fu considerata la più naturale possibile, quasi un passaggio di testimone tra due intellettuali che, a partire dalla terra d’origine, l’Abruzzo, mettevano insieme quasi tutto il resto: l’impegno politico, la passione per la cultura (in particolare per la poesia) e una tempra giornalistica forte e salda, come il loro impegno di fede. Si poteva quasi parlare al plurale di questa coppia di 'angeli' che, peraltro, non era la sola, visto che si trattava di un nome insolitamente comune tra i redattori di quel tempo. (Ma c’entrava poco, è lecito supporre, l’ispirazione del giornale).
Angelo, tuttavia, al giornale significava Paoluzi. Anche quando divenne direttore. Non voleva essere chiamato con il titolo che gli spettava, e si capiva che il motivo era uno solo. Il Direttore, tanto più per lui, restava l’altro Angelo, Narducci, l’amico fraterno, che lo aveva associato fin dall’inizio alla grande avventura di 'Avvenire', molto più di un giornale per i riflessi che quella nuova esperienza editoriale – il varo, attraverso una fusione, del quotidiano nazionale dei cattolici – poteva avere sull’intero mondo cattolico. Chiesa e comunicazione, nel clima – e nelle difficoltà – del primo dopo-Concilio, inauguravano la stagione di una modernità che – si è visto poi – ha preparato con cura il terreno alla rivoluzione informatica ancora in atto. Angelo Paoluzi ha vissuto a fondo questa stagione, ponendosi su un versante che, col tempo, in lui si è quasi identificato: quello di un giornalismo cattolico sempre più consapevole di dover dar senso all’appartenenza di fede con una professionalità a tutta prova. Quando fu chiamato ad 'Avvenire', Angelo aveva già alle spalle una carriera di tutto rispetto con gli anni di corrispondenza in Germania e il primo lascito culturale di quell’esperienza che lo qualificò poi come un germanista attento e documentato.
Un libro in particolare, 'La Croce, il Fascio e la Svastica', pubblicato 5 anni fa, può essere indicato come una sorta di grande matrice dell’impegno di Paoluzi giornalista, scrittore e uomo di fede. Più che un libro, un documento, poiché in maniera organica e carte alla mano, Angelo Paoluzi dava conto della resistenza cristiana contro le grandi dittature del secolo scorso. Un campo per lungo tempo inesplorato e che veniva alla luce, in quelle pagine, attraverso la testimonianza di uomini come Telesio Olivelli, Alcide De Gasperi, Enrico Mattei, e di organismi e associazioni – per esempio la 'Rosa Bianca' – tutti schierati in prima linea contro i regimi dell’oppressione. Di libri Angelo Paoluzi ne ha scritti molti altri, ma come rifiutava il titolo di direttore, così rimandava indietro quello di scrittore. Non faceva professioni di umiltà: umile lo era davvero, tanto che tra la produzione editoriale un posto privilegiato era riservato agli 'appunti' e alle dispense che redigeva sul campo con i suoi studenti alla Lumsa. Dopo 'Avvenire', ma con il suo giornale sempre nel cuore, (all’inizio aveva fondato e diretto anche i 'gruppi di lettura') Paoluzi ha attraversato ancora altre strade del giornalismo cattolico. Per anni ha tenuto una sua rubrica a Radio Vaticana. Lo ricordo, in particolare, all’'Osservatore Romano', dove lo ritrovai dopo gli anni di 'Avvenire'. Era a capo della 'Terza pagina' e la sua passione per la letteratura e il culto della storia trovarono nel 'giornale del Papa' una cattedra particolarmente indicata per l’altra sua vocazione: quella di maestro. Anche qui più dei titoli un riconoscimento guadagnato sul campo, e con una dedizione e un attivismo che contrastavano, a volte, con quell’aria mite e cortese, da gentiluomo distaccato e discreto, che facevano di un signor giornalista soprattutto un giornalista signore.
Anche per questo Angelo Paoluzi, uomo leale e generoso, va considerato come un grande protagonista della comunicazione, cattolica e no, dal dopo Concilio ad oggi.