Sono molti i modi possibili per riflettere sull’articolo scritto dal noto politologo Giovanni Sartori e pubblicato ieri come fondo in prima pagina dal Corriere della Sera. Il tema degli «eccessi che la terra non sopporta » e di «Una modernità fuori misura », come recita il titolo, è un argomento molto serio. Come sono questioni fondamentali le sfide poste – citiamo – da una crescita senza limiti, da uno sviluppo senza limiti e persino da una popolazione senza limiti.
Le soluzioni indicate da Sartori sono note perché ricorrenti: i problemi dell’umanità (disoccupazione e debiti compresi) e le difficoltà climatiche del pianeta derivano dall’eccesso di popolazione, per tale ragione le nascite andrebbero ridotte «specialmente in Africa», e se questo non avviene «le maggiori responsabilità sono della Chiesa Cattolica», per di più guidata da un Papa che abbraccia i poveri e i piccoli e viene dal Sud del mondo.
Fin qui nulla di nuovo. E dunque, volendo ribattere, si potrebbero riportare ancora una volta pareri diversi di climatologi, esperti di demografia, economisti. Si potrebbero intervistare antropologi, teologi, uomini di fede, persone impegnate negli aiuti umanitari, cooperatori internazionali, responsabili di organizzazioni che operano per le popolazioni più povere. Si potrebbe anche intervistare un medico esperto di quella «demenza» di cui parla lo stesso Sartori. O scegliere il registro del paradosso e rispondere al collegamento tra l’eccesso di popolazione in Africa e l’alluvione in Sardegna, argomentando per assurdo che se la popolazione dell’Isola scegliesse di non riprodursi più, presto non ci sarebbero nemmeno vittime di catastrofi da piangere. Una risposta completamente ironica o sarcastica non è mai da escludere.
Poi, però, a un certo punto si legge una frase e non si riesce più ad andare avanti. Ci si ferma, e tutto quello che era venuto in mente prima crolla, di fronte alla sensazione che un limite invalicabile sia stato oltrepassato. «La nostra televisione – scrive Sartori – è inondata da appelli di soldi per salvare i bambini africani. A che pro?».
Già: a che pro? Perché ci diamo da fare per aiutare i bambini che muoiono? Perché lo facciamo, se poi le prospettive sono, leggiamo ancora, «piogge torrenziali in inverno e afa d’estate?». Perché ci ostiniamo a voler salvare quei piccoli? La risposta, ancora una volta, potrebbe essere molto semplice: perché non sono la pietà, la solidarietà o la compassione le malattie che uccidono il pianeta e chi lo popola, ma l’utilitarismo, l’egoismo, l’avidità. Cioè proprio quel quadro di 'valori' su cui si fonda il ragionamento proposto e che esprime bene la cifra morale che a partire dall’Occidente rischia di condannare l’intero pianeta.
In realtà non c’è una replica possibile. Noi non ci chiediamo angosciosamente perché mandiamo un’ambulanza ad aiutare un anziano che cade per strada, perché abbiamo salvato le persone dai campi di sterminio, perché ci diamo da fare per curare una donna malata di un brutto tumore o un uomo segnato dalla Sla, perché vorremmo poter salvare tutti i bambini che soffrono, in qualunque Paese essi siano nati. O meglio, certe domande ce le poniamo solo quando siamo sfidati dall’indifferenza dei molti e dei potenti, perché custodiamo la certezza che sì, finché continueremo a fare tutto questo l’umanità e la terra avranno un futuro. È nel momento in cui incominceremo a chiederci «a che pro?» che dovremo considerare di essere veramente a un passo dalla fine.