Opinioni

Ucraina. Tre settimane di guerra. Cos'è successo oggi? Verso un accordo insanguinato

Andrea Lavazza mercoledì 16 marzo 2022

Le stragi peggiori finora, quelle denunciate da parte ucraina nelle ultime ore. Dieci persone in fila per il pane sarebbero state uccise a Chernihiv con un colpo sparato dagli assedianti. Il teatro nel centro di Mariupol, rifugio per centinaia di sfollati dalle proprie case, è finito (insieme a un altro edificio che accoglieva donne e bambini) sotto i bombardamenti che continuano a martellare la città martire di questo conflitto, in cui ogni tutela dei civili sta venendo meno. Anche il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha parlato esplicitamente in Parlamento dell'uso delle vietate bombe a grappolo. Il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan sarebbe già nel Paese per documentare le violazioni che potrebbero configurare crimini di guerra e contro l'umanità, come già denunciato da molti attivisti e ribadito dal presidente Usa Biden, che ha chiamato Putin "criminale".

Mosca nega il primo episodio di fuoco su non belligeranti e ha attribuito il secondo a un'azione del battaglione Azov (in sostanza, una carneficina autoinflitta per incolpare i russi davanti al mondo). Ma la condotta militare degli invasori è ormai quella di sparare sui bersagli scelti senza alcuna considerazione delle possibili vittime collaterali. L'ha ribadito il presidente Zelensky parlando al Congresso americano e mostrando un più che eloquente filmato. Un recente episodio ancora non chiarito a Donetsk, controllata dai filorussi, dove alcuni civili sono stati uccisi nel centro, getta comunque qualche ombra anche sulle azioni delle forze ucraine.

In questo quadro di devastazione delle zone già sotto il fuoco, è cominciato anche l'assedio attivo a Odessa, con cannoneggiamenti dal mare. Le forze di Kiev tuttavia sembrano ancora in grado di reggere la spallata dell'invasore e di impedire loro di avanzare sui fronti più importanti. Può essere questa la chiave per un negoziato che sia più concreto e si svolga su un piano più paritario. Putin capisce che non può davvero vincere questa guerra senza rischiare troppo del suo potere. Le perdite sul campo sono pesanti (non è dato sapere quanto, stime parlano di un bilancio già peggiore delle due intere guerre in Cecenia o dei caduti americani in Iraq); il dissenso interno cresce e trova voci rilevanti (dalla giornalista del primo telegiornale del Paese, seguita da altri colleghi meno noti, alla stella del balletto nazionale); gli effetti delle sanzioni economiche si fanno sempre più tangibili, a partire dall'imminente default causato dall'impossibilità di ripagare il debito estero.

Ecco allora la possibilità di una trattativa per il cessate il fuoco e poi una pace legata a condizioni che non facciano perdere la faccia al Cremlino ma non siano più il prendere o lasciare che Putin poteva permettersi di chiedere all'inizio del conflitto. La neutralità dell'Ucraina è certamente la chiave di un possibile accordo. In che forma? Sancirla nella Costituzione sarebbe un modo per dare soddisfazione a Mosca. Eppure, questa importante concessione, che allontanerebbe la Nato dai confini russi, non può bastare a chi scatenato l'offensiva con l'obiettivo di chiuderla trionfalmente in pochi giorni. Dolorose rinunce territoriali sono dunque all'orizzonte: riconoscimento ufficiale dello status attuale della Crimea e spazi di fortissima autonomia (o, addirittura, indipendenza) di ampia parte del Donbass. E qui le cose potrebbero complicarsi, perché ciò che un vertice politico responsabile potrebbe ora accettare, un popolo non rassegnato potrebbe rifiutare in un eventuale referendum.

Il fatto che circoli una bozza di 15 punti non garantisce che i colloqui fra le delegazioni dei due Paesi siano così a un punto così avanzato. Non si può escludere che le indiscrezioni messe in circolo servano come un test per sondare gli umori delle due parti, sia i vertici sia la base, almeno per Kiev. Le pressioni internazionali avranno certamente un peso rilevante, comprese quelle che in una direzione o nell'altra eserciterà la Cina. Nelle ultime ore del ventunesimo giorno di guerra, voci non controllate davano Pechino più vicina al Cremlino di quanto poteva sembrare finora. In questo gioco di ombre diplomatiche e nell'atroce contabilità delle vittime sul terreno si deciderà la svolta in una guerra che sta mostrando i suoi aspetti più tragici. Ancora una volta la voce del Papa si è alzata come la più alta e disinteressata nel reclamare lo stop alle armi. La parole di Francesco rivolte al patriarca ortodosso Kirill sono inequivocabili, richiamano precise responsabilità e invocano una presa di coscienza di tutti i decisori coinvolti.