Ucraina. Guerra giorno 76: Kiev adesso vuole la vittoria. Mosca mette nel mirino Odessa
Nel 76° giorno di guerra si prova a fare un bilancio a freddo della giornata del 9 maggio, che secondo qualcuno avrebbe dovuto essere di svolta e che, invece, ha riconfermato l’impressione di uno stallo militare e di una impasse diplomatica nella crisi. Una crisi che sta stritolando l’Ucraina ed espandendo i suoi effetti nel mondo, a partire dalla carenza di grano e altri cereali sui mercati internazionali. Mosca lancia missili ipersonici su Odessa senza un’apparente strategia, visto che la città portuale del Sud non sembra un obiettivo praticabile in funzione di una conquista duratura.
Una spiegazione plausibile è che a Odessa fanno base moltissimi giornalisti occidentali e le immagini dei colpi e degli edifici abbattuti fanno rapidamente il giro del mondo, molto di più dei bombardamenti sul fronte orientale. In questo modo, il Cremlino può mostrare la sua “vitalità” bellica e la capacità di raggiungere bersagli simbolicamente rilevanti. Non si tratta però della maniera in cui si vince una guerra.
I combattimenti più significativi sono nel Donbass e lì le cose vanno meno bene per l’Armata russa. Nelle ultime ore a nordovest di Kharkiv si è rafforzata la controffensiva ucraina, che ha messo in rotta il contingente russo nella zona. Sta emergendo come i comandi non abbiano abbastanza uomini da dispiegare per tenere le posizioni e avanzare su almeno due fronti, secondo il piano che prevede l’accerchiamento del grosso delle forze di Kiev nella regione. Queste ultime stanno subendo perdite per il martellamento a distanza dell’artiglieria nemica, ma stanno anche ricevendo nuovi e più potenti armamenti dagli Stati Uniti e dalla Nato. La legge cui fa ora ricorso il presidente Biden permette di accelerare l’invio di approvvigionamenti militari e ciò dà slancio alla resistenza di Kiev.
Questo fa sì che i vertici politici abbiano aumentato le loro ambizioni negli obiettivi di guerra, tanto da puntare, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, alla liberazione di tutto il territorio. Lo ha esplicitato in un'intervista al “Financial Times” il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. "L'immagine della vittoria è un concetto in evoluzione – ha spiegato al quotidiano britannico - nei primi mesi ci sarebbe sembrata una vittoria se avessimo ottenuto il ritiro delle forze russe alle posizioni che occupavano prima del 24 febbraio e il pagamento dei danni inflitti. Ora, se siamo forti abbastanza sul fronte militare e se vinciamo la battaglia per il Donbass, che sarà cruciale per le successive dinamiche del conflitto, certamente la vittoria in questa guerra per noi sarà la liberazione del resto del nostro territorio". Secondo il capo della diplomazia di Kiev, solo la sconfitta della Russia permetterebbe all'Ucraina di riaprire i suoi porti del Mar Nero e di rilanciare le esportazioni via nave.
Ma questi sono proclami che non potranno avere facilmente seguito concreto. La guerra si annuncia lunga ed estremamente costosa in termini di vite e di distruzioni per l’Ucraina. In tal senso, Kuleba ha ammesso che si potrebbe dover negoziare un accordo, al quale arrivare in una posizione di forza. La diplomazia però non riesce a trovare una strada efficace. Macron e il presidente cinese Xi Jinping hanno concordato sulla necessità di una trattativa, ma si fanno i conti senza i belligeranti, che per ora non danno segni di disponibilità a un dialogo concreto fatto anche di concessioni.
Il corpo di un soldato russo abbandonato nella regione di Karkhic - Reuters
La determinazione russa non sembra essere scossa nemmeno dalle rivelazioni sui corpi dei suoi caduti abbandonati sul campo di battaglia e pietosamente raccolti dai militari ucraini, che li conservano in vagoni frigo. Immagini choc che confermano, insieme a tante altre, quanto poco sia rispettato il diritto umanitario da parte dell’Armata e quanto poco sia tenuta in conto l’opinione pubblica in patria. Ciò che sarebbe inaccettabile in ogni altro Paese, per il Cremlino non crea problemi. Un ulteriore segnale che difficilmente la guerra sarà fermata dalla denuncia delle atrocità. Serve pertanto uno sforzo coordinato internazionale per portare le parti a un tavolo che avvii un percorso verso la pace oggi sempre più lontana.