Ucraina. Guerra giorno 63: gas come arma e i piani di Putin per il conflitto in Europa
Il gas torna protagonista nel giorno 63 della guerra in Ucraina. La Russia ha deciso di fermare le forniture a Polonia e Bulgaria che si sono rifiutate di effettuare il pagamento in rubli. La Duma ha però chiesto di chiudere i rubinetti anche per tutti gli altri "Paesi ostili", verosimilmente tutti quelli che contrastano l'invasione. La decisione di Mosca va a colpire due Stati che non si sono adeguati al meccanismo di transazioni indirette nella valuta del venditore, come hanno fatto invece gli altri acquirenti occidentali. La mossa si può forse leggere come una prova della reazione europea, dato che entrambe le nazioni colpite sono parte della Ue: Varsavia non ha una alta dipendenza dall'energia russa, mentre Sofia è maggiormente danneggiata dal provvedimento, ma il suo peso economico e politico è ridotto.
Non è d'altra parte un caso che la tensione con la Bulgaria sia particolarmente forte, se si ricorda come quest'ultima abbia espulso lo scorso anno personale diplomatico di Mosca con l'accusa di complicità in presunti attentati ai danni di depositi di armi destinate a Ucraina e Georgia nel 2020 e nel 2021. Tra gli episodi addebitati, anche l'avvelenamento di un mercante d'armi nel 2011. E' quindi plausibile leggere oggi in filigrana molti episodi recenti come inseriti in un disegno del Cremlino volto a destabilizzare il Continente con piani di lunga durata. La stessa interpretazione che viene data ora alle intenzioni di Putin, apparentemente deciso a non considerare la via del negoziato, ma determinato a proseguire il conflitto per ottenere le maggiori conquiste territoriali possibili.
Il fronte energetico in questo senso resta fondamentale. E costituisce potenzialmente un'arma a doppio taglio. Da un lato, infatti, il Cremlino può mettere in crisi Paesi come Germania, Italia e Austria con un taglio repentino del gas. Dall'altro lato, tuttavia, è la stessa Unione Europea che potrebbe sfidare lo Zar rinunciando all'approvvigionamento e togliendo alla Russia una fonte certa e continua di cospicuo finanziamento, una cifra che oscilla intorno alle centinaia di milioni di euro al giorno, secondo le stagioni. Ovviamente, gli introiti sarebbero persi anche se fosse il Cremlino a giocare la carta dell'embargo. Resta dunque da capire chi ha più da perdere e chi vorrà per primo provare a mettere in difficoltà l'avversario.
Perché siamo ormai di fronte a una contrapposizione che non si manifesta con combattimenti diretti ma ha assunto il carattere di una guerra che si svolge in modo asimmetrico. La Russia ha invaso l'Ucraina e adesso, almeno nei proclami che proliferano nella propaganda interna, si dichiara in conflitto con la Nato. L'esercito di Kiev legittimamente si difende utilizzando sul campo anche gli armamenti forniti dalla "coalizione" che martedì a Ramstein si è quasi formalmente costituita. Sono 43 i Paesi - 30 della Nato, con l'aggiunta di Svezia e Finlandia, pronte ad aderire all'Alleanza, ma anche delle democrazie dell'Oriente, dal Giappone all'Australia, e del Medio Oriente, Israele e Giordania, fino al Qatar, e di 4 Paesi africani: Marocco, Tunisia, Kenya e Liberia - disponibili a dare ulteriori aiuti e a coordinarsi una volta al mese.
Questo schieramento, volto a non permettere che l'espansionismo russo possa impunemente prevalere, sta provocando a sua volta la reazione del Cremlino, che non ammette di uscire sconfitto dalla guerra che esso stesso ha scatenato nel cuore dell'Europa con la convinzione di riportare un rapido successo. Torniamo così al gas e alle tattiche dello Zar nella partita a scacchi con la Ue. Chi muoverà per primo? Bruxelles è titubante persino nel rinunciare al petrolio di Mosca. Quanto al carbone, il bando è fissato ad agosto, forse perché si pensava che in piena estate il conflitto sarebbe stato risolto (una speranza che rimane, ma che cozza con gli avvenimenti recenti). Sarà allora Mosca a provare a spaccare la compattezza e la fermezza dell'Unione? In quel caso, dovremmo essere pronti a efficaci contromisure, sia sul fronte energetico sia su quello della reazione a Putin.
Serve una capacità strategica allargata, che sappia utilizzare la diplomazia insieme alle altre forme di pressione. Perché non mettere sul piatto le riserve e i beni sequestrati (molte centinaia di miliardi), con un altro robusto pacchetto di sanzioni economiche (la Germania potrebbe fare molto) in cambio di una tregua e dell'avvio di un serio negoziato di pace con Kiev (alla quale spetterà poi concordare i termini dell'accordo)? La sola contrapposizione militare non dà garanzie di successo e potrebbe aprire le porte, come si va ripetendo in questi giorni, a una Terza guerra mondiale. Un'eventualità che ci spaventa e che l'Occidente cercherà di evitare, ma che un Putin frustrato e senza via di uscita potrebbe volere percorrere, a spese anche del suo popolo.